Usare la Rete per avvicinare storie di bellezza e di sofferenza
venerdì 25 gennaio 2019
Anno dopo anno, il messaggio pontificio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali mi sembra che interpelli sempre più da vicino quella porzione di Chiesa sulle cui tracce questa rubrica muove i suoi passi. Rilasciato, come da tradizione, ieri – memoria di san Francesco di Sales –, il testo del nuovo documento di papa Francesco ( tinyurl.com/y8svumvb ) sviluppa un tema già noto da qualche mese: «"Siamo membra gli uni degli altri". Dalle social network community alla comunità umana». Come si può leggere in altra parte del giornale, per descrivere l'odierno «ambiente mediale» viene affiancata a quelle della rete e della comunità, che sono le più diffuse (con le relative ambiguità e contraddizioni), la metafora paolina del corpo e delle membra. Tra i primi, rari post di presentazione e di commento (il viaggio di Papa Francesco a Panama gli ha di certo fatto concorrenza nelle scelte editoriali), ho visto prevalere le sottolineature delle preoccupazioni che tale ambiente solleva, accanto alle opportunità che offre. Per quanto mi riguarda, sono stato molto attratto dai «se» che ne costellano l'ultima parte, tutti rivolti a intendere il social web «complementare all'incontro in carne e ossa». Ma è l'ultimo di essi che mi ha fatto sentire particolarmente chiamato in causa come giornalista. Vi si auspica che la Rete sia «occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza e di sofferenza fisicamente lontane da me, per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce». Sembra una «benedizione» rivolta a un utilizzo tra i più diffusi dei social network, la condivisione appunto di quanto a ciascuno capita di bello e di brutto. Molto spesso, guardato con gli occhi del comunicatore di professione, esso appare insignificante, «non notiziabile» (a meno che non riguardi un personaggio pubblico); è invece significativo, sembra dire il documento papale, se accolto con un cuore aperto.
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