domenica 30 aprile 2023
Si avvicina il 9 maggio, giorno in cui l’Unione europea, in base alla “Dichiarazione di Milano” nel 1985, celebra la propria festa. Una ricorrenza associata sempre alla difesa dei valori democratici e della collaborazione pacifica tra i nostri popoli, possibilmente anche con tutti gli altri. Quest’anno, la Giornata dell’Europa farà scattare anche il conto alla rovescia verso le elezioni del nuovo Parlamento di Strasburgo, fissate a maggio del 2024. In quei giorni, per la prima volta dal 1979, i quasi 450 milioni di cittadini dei “Ventisette” rischiano di doversi recare alle urne mentre nel continente si combatte una lunga e spietata guerra d’invasione. Purtroppo, più le settimane e i mesi passano, più bombe e missili piovono senza tregua, più voci minacciose si levano dai due schieramenti, meno sembra potersi attendere la fine o almeno una sospensione duratura delle ostilità. L’auspicio è ovviamente di venire smentiti dai fatti. Ma nel caso la previsione peggiore si avveri, ci si può chiedere fin da ora come il clima internazionale influirà sulle scelte degli elettori, storicamente abituati a celebrare il rito democratico del voto al riparo da incubi bellici. Oltre il 90 per cento degli europei è nato infatti dopo il 1940 e non ha quasi memoria di conflitti vissuti in prima persona. Che effetto avrà dunque la guerra sul sentimento comune nei confronti dell’Unione? E se anche ci sarà un’attenuazione delle tensioni, quale lezione saprà trarre la gente dagli eventi che si susseguono sotto i nostri occhi? C’è da sperare, quanto meno, che venga incoraggiata una più ampia affluenza alle urne e si rafforzi l’inversione della tendenza storica al calo della partecipazione, risalita già nel 2019 sotto la spinta dei giovani. Quattro anni fa, la percentuale complessiva dei votanti era tornata infatti sopra la soglia del 50 per cento, dopo oltre vent’anni di disaffezione crescente, fino a toccare il minimo storico del 42,6 nel 2014. Molto dipenderà da come le forze politiche interne degli Stati membri inviteranno a guardare al traguardo dell’anno prossimo. Il duro triennio 2020-22, fra pandemia e invasione russa dell’Ucraina, dovrebbe aver dimostrato con chiarezza solare a governanti e governati che nessuno, da solo, potrà mai sentirsi più sicuro, più libero, tantomeno potrà sperare in un futuro da autosufficienti. E forse non è un caso che i partiti sovranisti ultimamente sembrano aver perso grinta e presa sull’opinione pubblica, anche se in alcuni Paesi le forze euroscettiche o euro tiepide hanno guadagnato consensi e perfino ruoli di governo, ma sembrano attenti a non alimentare troppo campagne populiste contro la “perfida Bruxelles”. Un ruolo altrettanto importante potranno avere anche le istituzioni dell’Unione, a cominciare proprio dal Parlamento uscente. Il 19 settembre del 2019, a 80 anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’aula di Strasburgo votò a grande maggioranza un documento sull’importanza della memoria europea per il futuro della Ue. Vi si condannavano “con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l'umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari”. Ci furono dei mal di pancia e qualche post-comunista parlò di ingiusta equiparazione. Forse oggi, 14 mesi dopo l’ingresso in Ucraina dei carri armati di un Putin sempre più nostalgico dell’Urss, ce ne sarebbero di meno. Sarebbe un bene se sparissero del tutto. © riproduzione riservata
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