mercoledì 2 agosto 2017
Per prima cosa imparare l'italiano, poi prendere pratica in un lavoro remunerativo e in seguito, se possibile, trovare una casa: è l'iter perché l'accoglienza non diventi assistenzialismo.
Sono molte le donne immigrate, alcune con figli di pochi mesi, che alla Comunità Sant'Egidio di Roma seguono questo programma. Donne che hanno un obiettivo ben preciso: diventare in breve tempo autonome e produttive in una società che stenta ad accoglierle. Alcune sono arrivate dal mare con i barconi e hanno alle spalle non solo il dramma del viaggio, altre provengono da corridoi umanitari. Sono tante, tutte con una grande voglia di futuro negli occhi.
Il Progetto “Madri rifugiate e loro figli: dall'accoglienza all'inclusione”, reso possibile con il sostegno di Msd Italia, aiuterà 400 di queste donne in quattrocento modi differenti, perché ognuna ha una storia diversa.
«Facciamo tutto il possibile – spiega Daniela Pompei, responsabile alla Comunità di Sant'Egidio per i servizi agli immigrati – affinché le nostre ospiti diventino in breve tempo autonome e lascino il posto ad altre che arriveranno dopo di loro. Da tempo teniamo dei corsi di economia domestica e di assistenza agli anziani in modo che possano trovare un lavoro. Paghiamo dei tirocini formativi e diamo anche un contributo per l'affitto di una casa dove poter vivere in maniera decorosa e autonoma con la famiglia».
Aiutare queste donne ad integrarsi non è facile, ma in un prossimo futuro se ne avranno sicuramente dei vantaggi, sia a livello economico sia di sanità pubblica.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI