giovedì 30 gennaio 2020
Quando una realtà la vedi dall'interno, ti accorgi in pochi attimi che quanto pensavi non corrisponde alla realtà. Entrando in carcere tutte le mie idee si sono frantumate. Il mondo delle carceri fa paura e inquieta perché è parte del volto triste e sfigurato della società a cui apparteniamo. Ma davvero sono solo le persone detenute ad avere sbagliato? La frequentazione del carcere, in questi quattro mesi che sono cappellano a Rebibbia, mi ha permesso di conoscere un tipo di umanità diversa: non vedo più criminali, ma solo persone. Entrare in carcere, ogni giorno, è come scendere nelle catacombe di una città dove queste persone vengono allontanate alla nostra vista per fare finta che non esistano. Ma non è così! Esistono, non sono invisibili.
È quello che cercherò di far comprendere meglio – i lettori di Avvenire sono già molto ben informati su questo – aprendo una volta al mese una finestra diretta sul carcere, con alcune testimonianze degli stessi carcerati. Sarà il loro grido per chiedere una giustizia equa. Già, perché i poveri, in carcere, sono ancora più poveri. Una percentuale minima è fatta da grandi criminali. Migliaia sono "dentro" per reati minori. Molti ruotano attorno al mondo della tossicodipendenza, per non dire degli analfabeti, degli stranieri (meno degli italiani), del numero elevato dei senza dimora e dell'1% (forse) di laureati. Il tasso dei suicidi in carcere, secondo l'Istat, è del 18% superiore a quello di "fuori".
Mi chiedo se abbia senso lasciare in carcere giovani prostitute africane vittime della tratta, oppure persone senza dimora per aver rubato un cappotto o dormito in un'auto, anziani (perfino 80enni), uomini affetti da Hiv o bisognosi di muoversi in carrozzella o con le stampelle. Si può pensare di recuperare le persone alla società lasciandole in cella, in certi reparti, 22 ore su 24? Pochissimi coloro che hanno la possibilità di lavorare o di studiare, occupando meglio il tempo.
Tra l'altro, sembra incredibile che un edificio di proprietà dello Stato sia lasciato in simili condizioni: se fosse un immobile privato, probabilmente non sarebbe autorizzato a ospitare persone. Ovviamente, tutte queste situazioni creano problemi agli stessi agenti penitenziari, che sono sotto organico, con orari prolungati e turni difficili da gestire di notte e nei fine settimana. Non può essere sottovalutato che dal 2000 il numero di suicidi tra gli agenti penitenziari ha superato quota 100. Insomma, sono molti i punti sui quali riflettere e far sì che i riflettori restino accesi.
Padre stimmatino, cappellano
della Casa circondariale maschile
"Nuovo Complesso" di Rebibbia
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