domenica 6 marzo 2011
Nessun uomo è un'isola, completo in sé. Ciascuno di noi fa parte di un continente, un pezzo di terraferma.

«Ci sono persone che parlano un momento prima di pensare». Ebbene, oggi è domenica: proviamo a ribaltare questo aforisma del moralista francese La Bruyère, autore da noi citato anche ieri. Prima di parlare, creiamo uno spazio di silenzio e di riflessione e in quest'oasi lasciamo echeggiare le parole, per altro celebri, che sopra sono state trascritte. A proporle è un grande poeta inglese, John Donne, vissuto tra il Cinque e il Seicento, in una raccolta significativamente intitolata Devozioni. È una meditazione spirituale sul mistero dell'uomo, «l'unico essere animale per il quale il suo stesso esistere è un problema da risolvere», come ha detto un filosofo, Erich Fromm. Ora, l'umanità è stata creata - è la Genesi (1, 27) a dircelo - come immagine divina proprio perché è maschio e femmina, cioè votata a una relazione interpersonale, a un incontro fecondo e, perciò, capace di imitare il Creatore attraverso la generazione.
Ma c'è di più. Noi apparteniamo a un orizzonte genetico comune, l'«umanità» appunto, che è il nostro «continente» di cui siamo una porzione. Invano abbiamo eretto le frontiere delle razze, delle classi, delle divisioni: noi rimaniamo tutti figli di Adamo, deboli e gloriosi al tempo stesso, capaci di infamie e di eroismi. Ed è per questo che dobbiamo combattere la grande tentazione di isolarci, perché da soli non bastiamo a noi stessi. L'autismo spirituale e culturale è un dramma peggiore di quello psicologico e guarirlo è un'impresa ardua. Ritorniamo, allora, a guardarci negli occhi, a estrarre non la spada del duello ma la voce del dialogo, dato che tutti abbiamo una lingua paterna comune, quella dell'unico Creatore, iscritta nelle nostre anime e coscienze.
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