venerdì 9 settembre 2016
Siamo nel '45. Anno di sconfitta, di liberazione non priva di vendetta. La domenica, mia madre va alla dottrina in chiesa, portando con sé, nonostante la lunga strada da percorrere, mio fratello di quattro anni. Io sono di là da venire al mondo. Il programma è molto sobrio e tutto religioso. È la primavera di quell'anno. Finita la cerimonia, madre e bambino con un'ulteriore camminata raggiungono il cimitero. L'ingresso è poco discosto dalla chiesetta del camposanto, diversa da come si presenta oggi, a seguito di una recente ristrutturazione, che le ha tolto un po' di spiritualità. Il piccolo viene lasciato libero di zampettare intorno, pericoli non ce ne sono. Sul lato sinistro della cappella, c'è una porticina ,attraverso la quale si accede ad una piccola stanza obitorio. Il curiosissimo bimbo spalanca la porta. Non ci sono finestre e la penombra toglie per un attimo la vista. Su un tavolaccio di pietra, vi sono cinque o sei cadaveri di fascisti accatastati. Il piccolo si paralizza. Sono trascorsi più di settant'anni, l'episodio è stato rimosso dalla nostra memoria. Conosco i nomi di alcuni soltanto di loro. Non sono interessato né a processi, né a tardivi dibattiti ma ad un requiem sì. Quale occasione migliore, per pacificare infine, di quella propostaci da Francesco?
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