domenica 5 febbraio 2006
La vita umana non è altro che una serie di note «a piè pagina» di un immenso, misterioso e incompiuto capolavoro. Oggi si celebra nella Chiesa italiana la Giornata della vita: avrei potuto scegliere uno dei tanti passi limpidi e netti dei molti documenti ecclesiali o attingere all'antica tradizione cristiana, oppure risalire alla Bibbia che rivela un amore viscerale per la vita, proprio perché ne esalta la trascendenza e ne registra le tragiche violazioni (si pensi al sangue che stria le pagine sacre, espressione di quella storia che noi viviamo e in cui Dio si insedia). Ho optato, invece, per una frase di uno scrittore agnostico, il russo-americano Vladimir Nabokov (1899-1977), tratta dal romanzo Fuoco Pallido (1962), un ritratto della gioventù dei colleges che sciala la propria esistenza, nonostante l'apparenza decorosa ed efficiente. La sua intuizione coglie nel segno il segreto della vita: essa è, a prima vista, una realtà che si spiega facilmente con la scienza, con la psicologia, con le varie discipline etico-sociali e umanistiche. È, appunto, come le note esplicative che sono in calce alle pagine di un poema. Ma la questione fondamentale è proprio questa: la nostra vita è la spiegazione esterna di un «immenso, misterioso e incompiuto capolavoro». Essa è la manifestazione esteriore di una realtà che ci supera e che fa parte di un progetto superiore, continuamente in azione. È celebre la battuta del grande poeta tedesco Hölderlin: Was ist der Menschen Leben? Ein Bild der Gottheit! Che cos'è la vita umana se non un'immagine della divinità, proprio come insegnava la Bibbia? È per questo che le «note» non possono mai essere staccate da quel capolavoro a cui si riferiscono, considerandole come indipendenti e manipolabili. E allora, come diceva un altro scrittore russo, Pasternak, «vivere è lanciarsi in alto, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione e l'infinito».
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