Un’immagine dà vera speranza se ne approfondiamo il contesto
domenica 26 marzo 2023
Capita che la Rete decreti la popolarità di un’immagine, e che nell’infosfera ecclesiale si interpreti tale immagine in chiave di fede senza darsi la pena di offrire i necessari elementi di contesto su cui fondare tale interpretazione. Un post comparso di recente sulle edizioni anglofona (bit.ly/3TFRUND) e poi ispanofona di “Aleteia”, a firma Cerith Gardiner, mi aiuta a esemplificare tale fenomeno. Ci si riferisce a un monumento funebre che, nel grande cimitero di Salt Lake City (Utah), ritrae un ragazzino levarsi in volo verso il cielo da una sedia a rotelle. L’immagine è potente. La sua fonte, si legge, è la pagina Facebook del sito australiano “Mum Central” (rivolto a donne e madri), dove, dall’11 marzo scorso, ha raggranellato 700mila reazioni complessive. Poi Gardiner brevemente aggiunge che essa «ci ricorda che tutto ciò che sopportiamo, sia fisicamente sia mentalmente, sulla terra è solo momentaneo», e che la gioia di salire al Cielo è ciò a cui «noi cattolici possiamo aggrapparci durante la nostra vita terrena». Di lì passa a narrare un’altra storia, solo apparentemente accostabile alla prima. Interrogata, la Rete, a partire da un’apposita voce di Wikipedia (bit.ly/42HH7q0), rivela su quel monumento molto di più e molto altro. Risale al 2000; il bambino che commemora è Matthew Stanford Robison, gravemente disabile dalla nascita per mancanza di ossigeno, morto nel 1999 quando aveva 10 anni. La duratura popolarità digitale (e no) della statua è cominciata nel 2017 (bit.ly/42CHHp3) ed è tale che l’Ability Found, organizzazione non-profit creata dai genitori di Matthew a sostegno delle persone con disabilità, ne forniva a richiesta una copia in miniatura. Nel 2020 sempre “Aleteia”, ma sull’edizione italiana oggi purtroppo chiusa, offriva, a firma di Paola Belletti (bit.ly/3ZajSlC), un’ampia e profonda lettura spirituale dell’opera e delle vicende che l’hanno originata, attestando, tra l’altro, l’ispirazione religiosa dei genitori (forse mormoni, aggiungo io) e interpretandola in chiave di speranza cristiana: «È un’onda di speranza e nostalgia quella che ci investe guardando il viso [di Matthew], non solo la splendida scultura». Una speranza vera, «che spera contro ogni speranza e dà ragioni di sé al mondo, che magari continua lo stesso per la sua strada». © riproduzione riservata
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