Un gruppo e non una pagina, per una dinamica di comunità
domenica 16 aprile 2023
È una navigazione in acque familiari quella che mi porta all’interno di “Un minuto con Dio” (bit.ly/3mCnZK0), gruppo pubblico su Facebook che «vuole essere uno spazio di preghiera sul web». Me lo segnala come «molto interessante» Chiara Bertoglio, musicologa e pianista, teologa, scrittrice,
e anche blogger, i cui testi spesso vi rimbalzano. Ne trovo la storia anche nella tesi di licenza su “La parola di Dio in Rete” di suor Daniela Sanguigni (2021): «È nato da una mailing list creata nel 2008 da Patrizio Righero e poi trasformata in gruppo Facebook» nel 2010. Col tempo, al fondatore si sono aggiunti altri amministratori laici e religiosi, dei quali ho già incontrato Luca Rubin (dal 2020 tiene un appuntamento quotidiano su vari social, che “Un minuto con Dio” riprende) e Stefania Perna (prolifica autrice «affascinata dal misterioso intreccio tra fede, speranza e vita quotidiana», verso la quale ho un debito digitale). Dal canto suo, Patrizio Righero è attualmente il direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Pinerolo e del giornale “Vita diocesana pinerolese” (bit.ly/3GLeWNz), «primo free press cattolico del Piemonte». “Un minuto con Dio”, prossimo ormai al traguardo dei 10mila membri, ha conosciuto nel tempo una crescita lenta ma costante (nel 2017 erano meno della metà). I contenuti, spesso ma non necessariamente legati alla liturgia quotidiana, accompagnano spiritualmente gli utenti, che possono rapidamente farli propri e anche rilanciarli su altre piattaforme. La formula del “gruppo” e non della “pagina”, ben coltivata dal fondatore, garantisce una dinamica di comunità e insieme un’apprezzabile frequenza e varietà dei post. Scorrendo gli ultimi post, prevalentemente d’intonazione pasquale, eccone uno di Righero (bit.ly/41xvctQ) che merita una meditazione particolare. Il racconto, di fantasia, parla di una persona che, prima di morire per eutanasia, riceve un pasto (forse l’ultimo desiderio) e chiede a colui/colei che glielo porta, ragionevolmente l’infermiere, di fargli compagnia a tavola. «Non è previsto dai protocolli», ma neppure vietato, per cui l’infermiere accetta. È a tutti gli effetti un’“ultima cena”, e infatti l’autore non risparmia i riferimenti a quella evangelica. La morte per eutanasia come una moderna, asettica, invisibile croce. © riproduzione riservata
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