giovedì 23 giugno 2011
Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che loro credevano di stare imparando da me, son io che l'ho imparato da loro. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere.

«Vi è un'età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un'altra in cui si insegna ciò che non si sa e questo si chiama cercare». Così scriveva un famoso pensatore e studioso francese, Roland Barthes (1915-1980). Vorrei accostare questa sua considerazione - che nel suo cuore profondo riguarda tutti e non solo gli insegnanti - alle righe che sopra ho proposto, desumendole da quel grande educatore (nel senso pieno del termine) che fu don Lorenzo Milani. Egli scriveva questa sua confessione nel libro Esperienze pastorali ed era il 1958.
Anch'io ho alle spalle una buona parte della mia vita dedicata all'insegnamento e ancor oggi continuo a tenere conferenze. Il senso delle sue parole l'ho capito solo più avanti negli anni. Come docente, è vero, conosci più dati, sei più abile nell'argomentare; ma la verifica della verità di quello che proponi è spesso più palpitante in chi ti ascolta e ti segue. Ed è questo pubblico, a prima vista "incompetente", a condurti verso il significato ultimo della realtà. È così - come diceva Barthes - che ci si mette tutti allo stesso livello, camminando insieme nella ricerca della verità e conquistando il dono che si chiama "sapienza del cuore", quella che Salomone aveva chiesto a Dio per essere degno di governare e guidare un popolo (1 Re 3,9: «concedi al tuo servo un cuore che ascolti», cioè aperto e docile alla verità).
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