venerdì 16 settembre 2016
Niente più invasive biopsie. E nemmeno esperimenti sugli animali per verificare l'efficacia delle terapie. Da oggi per studiare il comportamento del fegato e conoscere il suo stato di salute, prevenendo molte patologie come quella del "fegato grasso", ci pensa un chip. A ricreare questo organo complesso è stato un gruppo di ricercatori dell'università Campus Bio-Medico di Roma con uno studio pubblicato sulla rivista Plos One. Grazie allo sviluppo di questa piattaforma di analisi in 3D, si disporrà di un ambiente epatico simulato molto più realistico, rispetto all'attuale tecnologia di coltura in vitro. Questi nuovi micro-dispositivi infatti, si sono rivelati particolarmente adatti a simulare una condizione cronica come quella della steatosi epatica non alcolica nel fegato dell'essere umano, con requisiti impossibili da ottenere nella sperimentazione sugli animali.Si apre quindi la strada all'individuazione di possibili biomarcatori per la diagnosi precoce e non invasiva della steatosi epatica, chiamata anche "fegato grasso", attraverso un semplice prelievo del sangue. Una possibilità inedita, che permetterebbe di somministrare terapie tempestive e mirate per la cura di una sindrome che può rappresentare un fattore predisponente di patologie epatiche più gravi, come il cancro. Con questo sistema tecnologico, spiega Alberto Rainer, ricercatore nell'ateneo romano, «potremo ora far partire uno studio sperimentale per l'individuazione dei segnali predittivi della patologia», ovvero di marcatori biologici che potrebbero rappresentare «dei nuovi target terapeutici per lo sviluppo di farmaci innovativi».
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