mercoledì 18 luglio 2018
In queste ore dove la parola dignità è all'apice dell'agone politico, penso agli angoli bui del nostro Paese, che sono rimasti tali. Non si parla più di Marche e Umbria, le zone martoriate due anni fa dal terremoto, se non per storie di insensibile burocrazia. Arnaldo Cartotto da Biella è invece ritornato a Castelluccio, Norcia e Visso, perché si è preso a cuore un rapporto. E ci ha scritto una lunga lettera che termina con queste parole: «Il terremoto dura pochi secondi ma i suoi effetti durano anni e in tutto questo tempo ognuno di noi non può smettere di ricordare». In verità è facile dimenticare: si fa una cena, si raccolgono dei fondi, si fa un'offerta e si acquistano i prodotti. Poi tutto finisce lì. «A Norcia – riporta sempre Arnaldo – la città è uguale a come l'avevamo lasciata, con la chiesa transennata, la zona rossa in quasi tutto il centro storico; poche persone per le strade, pochi negozi aperti». E oggi la sciagura rischia di appesantirsi ancora: dopo due anni gli abitanti hanno lasciato il centro storico e i giovani vanno volentieri altrove, senza immaginare se torneranno. Immediatamente dopo il terremoto c'era un movimento di persone che si occupava della ricostruzione (Protezione civile, vigili del fuoco, operai delle ditte che mettevano in sicurezza gli edifici...) e tutto sommato questo faceva girare la micro-economia. Oggi resta il conteggio dei ritardi, le assurdità di norme non a misura dell'emergenza, fra cui le sospensioni di tasse e contributi per un certo periodo, che poi arrivano tutte in un colpo proprio quando mancano i soldi per pagare il mutuo che alcuni hanno dovuto accendere per supplire alle carenze di fondi per la ricostruzione. «Ma se la situazione esteriore è in parte migliorata – dice ancora il nostro Arnaldo – quel che non appare e che nessuno più racconta è lo sconforto della gente per una burocrazia incombente e ingombrante che rischia di deprimere anche una popolazione forte, laboriosa, che non vuole mollare». E queste situazioni hanno nomi e cognomi ben precisi: i Fratelli Ansuini di via Anicia, che producono e vendono salumi; la cioccolateria Vetusta Nursia; Lina e Fabio dell'Albero del pane di Visso, che sono riusciti ad aprire un laboratorio nuovo, salvo poi accorgersi che non c'è quasi più nessuno che acquista. Eppure il pane di Visso è una celebrità, sublime col ciauscolo. È destinato a restare un ricordo? Lanciamo allora il nostro appello che è quello di mettere in conto un viaggio in questi paesi dimenticati, anche di un solo giorno. Il governo invece può semplicemente azzerare, se mai ci siano dei fondi, quelli destinati al proclamato (ma poco applicato) Anno del cibo italiano, convertendoli magari nell'Anno della rinascita del cibo umbro-marchigiano. Anche questa è una questione di dignità.
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