giovedì 27 aprile 2006
L'uomo è un animale strano: un miscuglio del nervosismo di un cavallo, della testardaggine di un mulo, della malizia di un cammello, della voglia di volare di un uccello. Divenne famoso col suo romanzo Il mondo nuovo, pubblicato nel 1932, rappresentazione allarmata di una nuova èra tecnologica futura nella quale gli anni si contano non più sulla nascita di Cristo ma su quella di Henry Ford, il gigante dell'industria dei motori (il racconto è appunto ambientato nell'anno 632 dopo Ford). Aldous Huxley, scrittore inglese un po' stravagante ma interessante, è anche l'autore della nostra citazione che colpisce nel segno almeno nell'indicare due profili dell'uomo, «animale strano». Innanzitutto, ecco la sequenza dei suoi difetti, ricalcati su quelli delle bestie. È nervoso, testardo e malizioso. La lista potrebbe essere allungata tenendo conto di altri vizi capitali coma la superbia, l'avarizia, la gola, l'invidia, l'accidia e così via. Ma Huxley aggiunge anche quell'aspirazione al volo: certo, si tratta di un desiderio fisico che ha già nel mito di Icaro la sua raffigurazione emblematica e che ha la sua attuazione nell'aereo o nell'astronautica. Questa tensione contiene, però, al suo interno una carica simbolica. È l'incarnazione dell'anelito umano per l'infinito e il trascendente. Ed è proprio in questa linea che possiamo andare oltre il ritratto che dell'uomo ha fatto Huxley. Potremmo dire, al riguardo, tante cose che toccano la spiritualità, la libertà, l'amore, la stessa fede e la grazia. Ci fermeremo solo sulla coscienza di sé e della propria realtà così come ce la presenta Pascal nei suoi Pensieri: «La grandezza dell'uomo sta nel suo conoscersi miserabile. L'albero non si sa miserabile. In una parola, l'uomo sa di essere miserabile: è, dunque, miserabile, poiché lo è; ma è ben grande, perché lo sa».
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