mercoledì 1 agosto 2018
Eugenio Giannetta
Un reality portato all'estremo. Ecco cos'è The Push, show provocatorio in cui il mentalista Derren Brown mette in scena un esperimento sociale per dimostrare come la manipolazione possa portare chiunque a commettere gesti spaventosi, persino l'omicidio. Il reality è su Netflix, dura poco più di un'ora ed è vietato ai minori di 14 anni.
L'esperimento di conformità sociale coinvolge persone ignare, che non hanno idea di essere parte di uno show televisivo, e si basa su un presupposto: «Possiamo essere manipolati, tramite le forze della pressione sociale, a commettere un omicidio?». Nel corso del reality Derren Brown dimostra come spesso le persone eseguano piccole consegne solo perché qualcuno abbia detto loro di farlo, riconoscendo l'autorità in una persona, un gruppo, un'ideologia, fino a perdere un po' alla volta il controllo sulle proprie azioni.
In The Push è tutto costruito ad hoc. C'è una persona che mesi prima ha partecipato a un cast per il nuovo show di Derren Brown, a cui è stato detto di non essere stato scelto. Intorno a lui 70 attori, guidati da auricolari e regia, cercano di fargli credere di partecipare a un gala di beneficenza. L'esperimento cresce gradualmente, cominciando con minime situazioni di imbarazzo, piccole bugie e inganni che creano poco alla volta la complicità necessaria alla manipolazione: «Se fai un favore a qualcuno, hai più probabilità che più avanti te ne faccia uno più grande». Si basa tutto sulla spontaneità, sulla fiducia e sull'infrangere certi valori morali; sull'influenza, ma soprattutto sul controllo di una persona che di fatto non ha alcun sospetto, a metà tra l'essere prigioniera e insieme protagonista inconsapevole di una performance, come in una sorta di Truman Show, dove però la normalità non è sufficiente, e si cerca il superamento di un limite, portando a una riflessione su cosa significhi essere umani.
L'esperimento è stato ripetuto quattro volte, su due uomini e due donne, con esiti differenti e ovviamente un'etica contraddittoria del fine. Non tanto per l'esperimento sociale in sé, quanto più per il fatto di andare in onda con l'esito dell'esperimento, qualunque esso fosse. Un esperimento analogo era stato realizzato nel 2009 in Francia, con il finto reality (ma i concorrenti pensavano fosse vero) Zone Xtrême, in cui un concorrente infliggeva volontariamente (finte) scosse da 20 a 480 volt all'avversario ogni volta che sbagliava per arrivare a vincere un milione di euro. L'idea era del produttore Christophe Nick, noto in Francia per programmi di denuncia e il cui motto è «utilizzare tutti i mezzi della tivù per uccidere la tivù stessa», si tratta «di dimostrare il potere di asservimento della televisione». Con successo. L'80% degli ottanta partecipanti
aveva abbassato la leva fulminando lo sconfitto.
Già negli anni Sessanta, esperimenti di conformità sociale hanno esplorato la condizione umana; l'esperimento di Milgram a Yale, ad esempio, provava in qualche modo la condizione di obbedienza all'autorità, così come negli anni Settanta altre università hanno provato a testare l'influenza di gruppi e ruoli in una società conformata.
Con l'attuale alimentarsi costante del meccanismo di vanità e spettacolarizzazione, costruito intorno a reality show e social, aumentano esponenzialmente anche le conseguenze di esperimenti di questo genere.
Fermo restando la suggestionabilità umana, uno dei risultati più allarmanti è forse proprio la perdita della propria identità e del senso di responsabilità personale. Poco dopo l'inizio dello show, Derren Brown commenta dicendo che «l'evoluzione sociale ci ha insegnato che è più sicuro essere uno dei tanti, ma sono i suoi pericoli di cui dobbiamo essere consci, ora più che mai». I pericoli in effetti sono dietro l'angolo. Riconoscerli e imporre la propria coscienza sul volere delle masse, è forse il primo passo per non esserne travolti.
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