Tutti i timori dei cristiani nel Pakistan che va al voto
martedì 6 febbraio 2024

Il Pakistan si prepara ad andare al voto giovedì 8 febbraio. Ed è una vigilia elettorale delicata: in una terra dove l’esercito “si fa sentire” anche nella politica, il voto arriva a quasi due anni dalla sfiducia a Imran Khan, il trionfatore delle elezioni del 2018. Secondo un’altra delle “tradizioni” di Islamabad, la caduta in disgrazia è coincisa con una lunga serie di accuse giudiziarie, in forza delle quali l’ex leggenda del cricket si trova ora in carcere con sulle spalle condanne per 14 anni di detenzione. Al suo posto i militari hanno scelto come cavallo di ritorno la Lega musulmana del già tre volte premier Nawaz Sharif. Altra figura, per la verità, condannata nel 2017 a 10 anni per corruzione, ma “graziata” giusto in tempo per candidarsi a queste elezioni insieme al fratello Shehbaz Sharif, che ha guidato il governo di Islamabad dopo il siluramento di Imran Khan. Con il leader populista in carcere e il suo partito decimato - oltre che impedito a presentarsi col proprio simbolo elettorale (l’immancabile mazza da cricket) - i giochi sembrerebbero scontati. Ma Imran Khan, che si è sempre detto vittima di un “complotto”, resta una figura più popolare nelle piazze rispetto ai fratelli Sharif. Spera ancora di ribaltare il tavolo grazie ai candidati a lui legati che si presentano come “indipendenti” nelle singole circoscrizioni. Mentre Bilawal Bhutto - il 35enne figlio di Benazir Bhutto, la carismatica leader assassinata nel 2007 - cercherà di far risalire un po’ la china al suo Partito popolare.


E la comunità cristiana locale, che secondo i dati dell’ultimo censimento condotto nel 2017 rappresenta l’1,27% della popolazione, come si pone davanti a questo quadro? Non si fa grandi illusioni. Nelle scorse settimane insieme a indù, ahmadi e sikh, i suoi leader hanno posto ancora una volta la questione della rappresentanza delle minoranze non islamiche in questo Paese dove il 96% della popolazione è musulmana. Mentre il presidente della Conferenza episcopale cattolica, il vescovo di Hyderabad, monsignor Samson Shukardin, è tornato a ricordare la triste piaga della cosiddetta “legge antiblasfemia”, gli articoli del codice penale pachistano in forza dei quali numerosi cristiani (ma anche tanti musulmani) sono finiti per anni in carcere sulla scorta di accuse sommarie, frutto di meri rancori personali. Come in ogni elezione, poi, anche a Lahore non è mancato qualche candidato che ha provato a fare campagna elettorale nelle chiese. Però, come raccontava qualche giorno fa il Christian Post, c’è un posto dove nessun politico si è fatto vedere: il quartiere di Jaranwala a Faisalabad. Proprio qui, infatti, sono ancora profonde le ferite delle violenze scatenate dagli islamisti nell’agosto scorso, quando una ventina di chiese e un centinaio di abitazioni dei cristiani furono date alle fiamme in un’esplosione di violenza legata proprio a un’accusa di blasfemia.

Nonostante nel quartiere cristiano di Jaranwala vivano 2mila persone nessuno è andato a cercare il loro voto. Per due motivi: innanzi tutto perché, nonostante le voci sulla profanazione di un Corano si siano poi rivelate infondate, lo stigma islamista nei confronti di chi vive in questa zona è rimasto. Esporsi potrebbe, dunque, essere elettoralmente pericoloso. E poi a Jaranwala un candidato al Parlamento avrebbe comunque dovuto fare i conti con le promesse di aiuto non mantenute: tutto è fermo, gli interventi per la ricostruzione sono stati rinviati al nuovo governo. L’unica presenza nelle ultime settimane è stata quella di una fondazione cristiana che ha organizzato una Fiera di Natale. Un piccolo segno di normalità per ridare speranza e dignità a chi ha perso tutto.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI