Troppa cultura libresca o mediatica? Fate passeggiate in città, come Flaubert
sabato 12 marzo 2011
Si parla di scuola e di formazione, mentre per la prima volta dopo decenni diminuisce nelle università il numero degli iscritti. Troppa cultura libresca? Sfiducia nel titolo di studio che non garantisce occupazione? Non insegno più da quindici anni e dell'università ignoro tutto. Il solo problema che continua a interessarmi riguarda le fonti, i modi, i fondamenti del sapere. Mi chiedo che cosa so davvero e che cosa credo o fingo di sapere. Leggo perciò un libro di Nicla Vassallo, Per sentito dire (Feltrinelli) nel quale si analizza il rapporto fra diverse forme di conoscenza: a) la conoscenza diretta, b) quella di competenza (cosa so fare) e c) quella «proposizionale» (che deriva da affermazioni e testimonianze altrui). L'autrice, mi sembra, si preoccupa troppo del peccato di individualismo di chi tende a privilegiare l'esperienza personale e la conoscenza diretta. Essere scettici per principio nei confronti di conoscenze mediate da testimonianza altrui e da ciò che si sente dire nel contesto in cui viviamo, porterebbe a un' "egoistica" angustia mentale.
È vero che le esperienze individuali dirette sono inevitabilmente limitate. Ma è altrettanto vero che non abbiamo altro criterio per misurare la credibilità di ciò che sentiamo dire. Le nostre percezioni e osservazioni risentono dei nostri pregiudizi e saperi acquisiti. Ma possono anche rovesciarli o correggerli. In verità, nelle sue conclusioni Nicla Vassallo attacca piuttosto frontalmente e con buone ragioni la nube tossica di informazioni, conoscenze e sproloqui che circolano grazie ai nuovi media, da wikipedia ai socialnetwork. Di recente un allarme contro la «twitterizzazione» è stato lanciato anche da "Newsweek". Viviamo, dice Vassallo, «in una vera e propria foresta digitale», governata da regole che sfuggono al nostro controllo. Perciò agli scolari e studenti di oggi consiglierei un po' più di conoscenza diretta: per esempio fare passeggiate a piedi in città osservando con cura quello che vedono. Era il metodo dei narratori di una volta, da Flaubert a Hemingway.
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