giovedì 2 agosto 2018
Se uno per caso chiede a persone dell'epoca nostra quale sia mai la virtù più necessaria di tutte, non solo per i singoli, ma anche per l'intero umano consorzio, per viver meglio e con maggior dignità, generalmente bisogna che s'aspetti questa risposta: che non c'è nulla tra gli uomini di più desiderabile della “tolleranza” e del “rispetto”. Questo son soliti rispondere i giovani, questo gli adulti, questo, oggi, anche i vecchi decrepiti. Bellissima risposta, e piena di saggezza, non c'è dubbio; rispettar gli altri, infatti, vivere in pace, osservare le opinioni e l'animo altrui per alimentare la tranquillità e per coltivar l'umanità, chi potrebbe negare che sia cosa ottima? A ciò sembra tender l'impegno di tutti gli uomini di cultura, di tutte le persone bene educate, insomma di tutti gli uomini più civili, non senza il plauso di molti, i quali sperano che da quest'atteggiamento avremo relazioni e frequentazioni pacifiche fra i popoli e coi nostri connazionali. Eppure, se si considera la cosa più attentamente e la si soppesa con razionalità, temo assai che, penetrando sotto la superficie di quest'idea, troveremo qualcosa che non è per nulla lodevole, per non dir ch'è proprio qualcosa di disumano. Che cosa infatti sembra nascondersi sotto quei bei nomi di “rispetto” e “tolleranza”, che sono sbandierati qua e là da moltissimi? A che aspirano, che voglion dire, tolto ogni velo, quelli che continuamente adoperano tali vocaboli? Null'altro se non questo: «Tu fa' pur quel che vuoi, purché non mi dia fastidio; per conto mio, non m'importa nulla dei tuoi costumi, del tuo modo di vedere le cose, delle tue opinioni; per me è assolutamente indifferente, se fan del male a te e ad altri o, al contrario, siano d'aiuto: a me importa una sola cosa, che, mentre tu ti fai i fatti tuoi, io mi faccio i miei, e ne godo. Dunque la tua libertà finisce, lì dove comincia la mia. Tanto, non c'è nulla di buono in sé, nulla d'oggettivamente giusto, nulla che sia davvero bello: noi chiamiamo buono, giusto, bello quel che ci piace, quel che ci procura piacere, quel che giova ai nostri animi e alle nostre sensazioni. Chi sono io, dunque, per giudicare quel che tu senti nell'animo tuo? E chi sei tu, per giudicare quel che sento io?». Ahimè! .«Voi, che raccogliete i fiori e le fragole che nascono a terra, / o ragazzi, fuggite da questo luogo: un serpente si nasconde nell'erba!». Infatti, come l'amicizia, così ogni vincolo umano consta di tre elementi: dell'armonia delle opinioni, della benevolenza, della carità. Ma chi pensa nel modo suddetto non può raggiungere nessuna armonia d'opinioni, non cerca neppure una concordia e un equilibrio fra i modi di vedere, perché neppure crede che esista una verità, non crede che esista un fondamento certo per la giustizia, non ritiene che ci sia una bellezza indubitabile e da coltivare per sé stessa. Chi argomenta in tal modo, mostra apertamente che non vuol bene agli altri uomini, visto che non si cura per nulla se dalle loro convinzioni essi ricavino del bene o ricevano danno. Infine mostra chiaramente che gli altri uomini non gli son cari, perché, indifferente e trascurato, egli permette con superficialità ch'essi patiscano persino mali irrimediabili. Stiamo dunque attenti che, mentre giustamente fuggiamo gli estremismi di fanatici, non cadiamo nell'opposta ed empia indifferenza verso gli altri, e in un'eccessiva attenzione solo alle nostre passioni e ai nostri piaceri.
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