mercoledì 27 luglio 2011
Ieri titolo de "L'Unità" a tutta p. 11: «Omofobia: la legge al voto decisivo. L'appello del Pd: va approvata». Imperativo di partito bocciato in Parlamento per incostituzionalità. Infortunio? Imprudenza? Pretesa di vecchio "centralismo" detto con ossimoro "democratico" su temi che toccano la coscienza di tutti, anche dei parlamentari chiamati a decidere in materia a titolo personale e, come noto in piena libertà, "senza vincolo di mandato". Che dire? Siamo alle solite. Finché non si capirà che su certe questioni ogni coscienza è insopprimibile, e la democrazia deve valere anche per chi pensa diversamente dalla maggioranza dei chiamati a votare, non si uscirà dai conflitti a vuoto che bloccano tutto mentre i problemi di tutti restano insoluti. E già: siamo alle solite. Di recente qui su "Avvenire" (23/7, p. 1) il titolo di fondo era il seguente: "La questione è l'eutanasia". Si riferiva in linea di principio sostanziale alla legge detta sulle Dat, e chiariva che su ambedue i fronti in contrapposizione esiste un principio che colloca il tema sul versante della pura e semplice libertà di coscienza, e quindi non ammette deroghe e neppure allineamenti ad ordini di partito. Vale anche per il tema della legge detta sulla omofobia: "la questione" è evidentemente quella del giudizio morale su omosessualità e cosiddetti generi sessuali, che deve restare libero per tutti, senza immotivate estensioni per le quali la violenza di un bianco su un nero, o di un ricco su un povero, o di un uomo su una donna, diventa punibile doppiamente se il nero, il povero o la donna sono gay, e non all'opposto. Certi ordini di partito certificano solo che la libertà di coscienza da qualche parte non ha cittadinanza piena. Ed è una "questione" che pesa.
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