Tra la storia e il silenzio la sottile linea di un palo
mercoledì 28 febbraio 2024
Domenica, stadio di Lille, Francia. A tempo praticamente scaduto l’Italia ha a diposizione il pallone per vincere, per la prima volta, in Francia al Sei Nazioni di rugby. Ovale fermo e affidato al piede di Paolo Garbisi, che dieci minuti prima aveva centrato una trasformazione molto difficile, quella che aveva portato gli Azzurri sul 13-13. Garbisi sistema l’ovale, si prepara al calcio, questa volta da posizione agevole. Mentre si concentra nella sua routine prima del calcio con lo sguardo rivolto ai pali, i compagni di squadra gli fanno notare che l’ovale è caduto dalla piazzola. Garbisi deve risistemarlo in fretta sul supporto, accelerare nel ripetere le operazioni e calciare. La fretta è cattiva consigliera, l’ovale si schianta sul palo di sinistra. La partita finisce lì, pari, a una decina di centimetri dalla storia. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che un palo direziona in un senso o nell’altro una storia di sport. Successe con la traversa colpita da Antonio Conte nella finale Juventus-Milan di Champions League del 2003, vinta poi dai rossoneri ai rigori, o con l’unico rigore dal dischetto di David Trezeguet nella finale dei Mondiali del 2006, con la palla che colpì la traversa e rimbalzò pochi centimetri davanti alla linea di porta prima del trionfo azzurro siglato da Fabio Grosso. Ma il palo più famoso della storia dello sport resta forse di Rob Rensenbrink, dodici secondi dopo il novantesimo, nella finale del Mondiale 1978 Argentina-Olanda allo stadio Monumental di Buenos Aires, davanti agli occhi del sanguinario colonnello Videla. Un tiro sublime e morbido, che dal vertice di sinistra dell’area di rigore, superò il portiere argentino Fillol con una parabola perfetta. Bisognerebbe poter fermare il tempo per un attimo e guardare la faccia stupita di Happel, burbero allenatore dell’Olanda che aveva lasciato a casa Cruyff e che pensava di essere a un istante dalla vittoria del primo (e unico) mondiale della storia del calcio olandese. La faccia di Gonella, arbitro italiano con il fischietto già alla bocca, che non avrebbe avuto problemi a convalidare quel goal perché era perfettamente regolare, e questo rappresentava un bel sollievo. La faccia del Gordo Muñoz, il telecronista del regime, che si sarebbe ritrovato strozzato in gola un discorso già pronto sull’Argentina “Paese meraviglioso”. La faccia di Jongbloed, portiere olandese che, dall’altra parte del campo, aveva già alzato le braccia al cielo, o quella del Flaco Menotti, il ct dell’albiceleste, che stava per vedere materializzarsi la sconfitta più feroce che possa esistere: perdere un Mondiale, in casa e all’ultimo secondo. E ancora, la faccia del colonnello Videla in tribuna, circondato dai suoi ammiragli, che stava per veder svanire nel nulla un lavoro tanto cinico quanto funzionale al suo scopo, e la faccia dei leader di Montoneros, l’associazione clandestina che aveva progettato di utilizzare l’eventuale sconfitta per far esplodere il malcontento popolare e inchiodare quel regime sanguinario. Bisognerebbe fermare il tempo per capire il silenzio che calò sull’Argentina fra il momento in cui dal piede di Rensenbrink partì una parabola quasi perfetta e quello in cui, alle spalle di Fillol, si sentì un rumore sordo: quello di una palla che colpisce il palo negli ultimi secondi della finale del Mondiale più politico di sempre sul punteggio di uno a uno, cambiando la storia. © riproduzione riservata
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