giovedì 31 maggio 2018
È sempre soltanto una casa. Anche quando non è una casa, ma qualcos'altro: qualsiasi oggetto al quale ci affezioniamo in via esclusiva, qualsiasi proprietà che consideriamo irrinunciabile, qualsiasi segno al quale ci convinciamo di poter consegnare la nostra memoria, che è come dire noi stessi. Cose che diventano case, case che diventano mondi, come la modesta abitazione che il vecchio Carl Fredricksen ha eletto a propria reggia. La speculazione dei grattacieli imperversa ovunque, ma lui resiste, perché la sua vita si è svolta per intero sotto quel portico, sotto quel tetto spiovente. Insieme con Ellie, che è stata il suo primo amore e sua moglie, una donna amatissima e fragile, morta senza rimpianti nonostante non sia riuscita a realizzare i suoi sogni. Non hanno avuto un figlio, Ellie e Carl, e non hanno mai visitato le Cascate Paradiso, laggiù in Sudamerica. Lui si è fatto bastare il mestiere di venditore di palloncini, purché lei lo ritrovasse ad aspettarlo ogni sera a casa. Nella loro reggia, nel loro mondo.
Non sembrerebbe un argomento adatto per i bambini, questa storia di anziani innamorati, e invece è il punto di partenza di Up, uno dei capolavori della Pixar, la società di produzione che a partire dagli anni Novanta ha rivoluzionato l'animazione cinematografica attraverso un'inedita commistione fra tecnologie avanzatissime e struggenti intuizioni poetiche. La saga di Toy Story, con i giocattoli che all'insaputa degli umani mettono in scena ogni sfumatura dell'umanità, e l'epopea futuribile del piccolo robot Wall-E, le ambizioni culinarie del topo gourmand in Ratatouille e l'irresistibile surrealismo di Up, con la famosa casa che si sradica dal terreno urbano e inizia a volteggiare in aria trascinata dallo stormo di palloncini che Carl ha allestito in segreto per farsi beffe delle ruspe e dei martelli pneumatici che lo stringono d'assedio. Una fuga perfetta, non fosse che sotto il solito portico si è acquattato il generoso e incauto Russell, un boyscout forse un po' troppo in carne (è il ritratto in miniatura di John Lasseter, che della Pixar è il fondatore e direttore creativo) ma generoso nel suo entusiasmo. Il bambino ha iniziato la giornata desideroso di compiere una buona azione e si è trovato coinvolto in un'avventura al di sopra di ogni immaginazione. Non solo la casa del burbero Carl fila per aria che è un piacere, ma raggiunge anche la destinazione stabilita: le Cascate Paradiso, appunto, che sarebbero la scoperta più celebre compiuta dall'esploratore che i due anziani coniugi avevano sempre ammirato. Charles F.Muntz si chiama l'eroe presunto, e non ci vuole molto per accorgersi che gli sceneggiatori della Pixar ci sono riusciti un'altra volta: hanno preso un tema classico del racconto e lo hanno ricondotto a misura di bambino. Il che non significa sminuirlo, ma al contrario renderlo ancora più universale, ancora più comprensibile quale che sia l'età o la cultura dello spettatore.
Charles F. Muntz è il doppio di Carl Fredricksen, è lo specchio che ne riflette la metà oscura, amplificando e radicalizzando quell'attaccamento a sé stessi per il tramite delle cose che diventa egoismo, cecità, spietatezza. Aiutato anche dalla spontaneità di Russell, Carl ritrova la purezza dell'infanzia e scopre il coraggio di una maturità tanto tardiva quanto finalmente liberata. E quando la casa di una vita se ne va in pezzi, sacrificata allo scontro decisivo contro il famelico Muntz, è proprio Carl a pronunciare la frase nella quale la rinuncia si capovolge in conquista: era soltanto una casa, sì. Era quello che era, niente di più e niente di meno. Non il doppio di qualcos'altro, non l'espressione di un desiderio incompiuto o di un fallimento manifesto. Quattro mura e un tetto, il portico e il salotto. E palloncini finché ce ne sono, per puntare verso il cielo.
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