giovedì 26 marzo 2020
25 marzo duplice: Annunciazione e “Dante dì”, evocato da giorni in pagina varia. Tra queste (“Corsera” 21/3, p.44) notevole Andrea Battistini: «Ecco perché Dante è vivo e ci racconta il futuro. Da secoli la sua forza visionaria non smette di parlare. Così attraverso la scrittura ha trasfigurato la realtà». Entusiasmo lecito, ma c'è altro: «Nessuno può pensare all'Inferno in modo diverso da quello che si è inventato lui»! È proprio così? Per caso, il giorno dopo su “Repubblica” (p. 1) Eugenio Scalfari ricorda che «L'artista sa rappresentare molto meno di quello che può immaginare». Ecco: “immaginare” è la stessa cosa che “pensare”? E questo addirittura in relazione all'aldilà? Pensare “l'oltre” senza immagini è possibile? C'è qualche differenza tra pensiero e immagine? “Penso” un gregge di 1.500 pecore. È lo stesso che uno di 1.499? No! Sono diversi. E se invece di pensare li immagino? Prova a distinguere le 2 immagini! Dunque “pensare” l'aldilà.
Ecco: «Occhio umano mai ha visto, orecchio umano mai ha sentito, cuore umano mai ha potuto presagire ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano» (I Cor. 2,9). Questione di immagini? Servono ai poeti, ai pittori, agli “artisti”, come visto sopra, ma al pensare? Nel giorno dell'Annunciazione ammirato per Dante rileggo con gioia «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio», ma scrivere che per “l'oltre” lui obbliga tutti noi con le sue immagini è dare a lui ciò che non gli spetta e togliere a noi ben altro. Per “pensare” il morire, il risorgere e l'eternità ci soccorre fino a un certo punto la filosofia, ma la pienezza è Parola: rivelata, incarnata, e salvatrice... E trovare un senso al morire può anche essere la stessa cosa che trovarlo al vivere. E su questo il Maestro è unico, quel Figlio della «Piena di grazia» nel quale siamo chiamati a salvezza: con diritto alla sorpresa che devvero «tutto è grazia».
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