Torna la Missa Dalmatica di Suppé combattuta pagina in cerca di Dio
domenica 27 febbraio 2011
Si pensa a Franz von Suppé (1819-1895) e subito vengono alla mente le pagine più frivole e disimpegnate con cui l'artista austriaco, di origine dalmata, ha infiammato la vita musicale ottocentesca, in virtù di operette di grande successo come Cavalleria leggera, Boccaccio o La bella Galatea. «L'Offenbach viennese», come veniva soprannominato dai suoi contemporanei, ricoprì la carica di direttore del prestigioso Theater an der Wien e seppe appunto imporsi per una brillante vena creativa, ancorata comunque a un saldo magistero compositivo che sapeva spingersi oltre le "bollicine" delle musiche di scena per balletti e delle sue rappresentazioni teatrali più conosciute, come testimoniano alcune pagine appartenenti al repertorio sacro.
La storia della Missa Dalmatica di Suppé è quella di una partitura persa e ritrovata due volte. La prima da parte del suo stesso autore, che appena quattordicenne aveva abbozzato l'intera opera per poi abbandonarla dimenticata nel cassetto delle sue fatiche giovanili; imbattutosi casualmente nel Kyrie ormai in età adulta, riuscì a farsi spedire da Zara le parti mancanti e sottopose l'intero impianto a una pesante operazione di revisione e riscrittura. Data alle stampe nel 1877 ed eseguita nel 1890, la composizione cadde nuovamente nell'oblio fino a tempi più recenti, quando è stata ritrovata e ricostruita da due fonti separate.
Parte da quest'ultima riscoperta la registrazione della Missa Dalmatica realizzata dal direttore Adriano Martinolli D'Arcy e dalla formazione vocale del Concentus Choir Bruneck, accompagnati all'organo da Martin Ranalter e da un terzetto di voci soliste maschili formato da tenore, baritono e basso (cd pubblicato da SoloVoce e distribuito da Codaex). Si tratta di un'interpretazione misurata e coerente di un lavoro fondamentalmente discontinuo nell'esito e nell'ispirazione, che tende a isolare le singole sezioni liturgiche come fossero numeri a se stanti, caratterizzati da immediatezza espressiva, varietà di soluzioni ritmiche, maestria contrappuntistica e da un'imponenza quasi scenografica in grado di evidenziare i debiti che Suppé pagava idealmente verso la scuola ottocentesca del melodramma italiano e i suoi grandi maestri, Donizetti, Rossini e Verdi su tutti.
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