domenica 10 marzo 2019
Se non sei un killer professionista, sparare a un essere umano è difficile, perfino impossibile. Sempre. Anche in caso di legittima difesa. Minacciato, disperato, stressato... ma quello davanti alla canna della tua pistola, di te che non hai sparato addosso a nessuno e mai hai visto gli occhi di un uomo che muore (come il soldato Piero della celebre ballata), è comunque un essere umano. È così da sempre. E da sempre è stata trovata la soluzione: disumanizzare chi hai davanti a te. Se è un po' meno essere umano, meglio ancora se non lo è affatto, se diventa un mostro, allora ce la possiamo fare.
Per questo, in un cineforum sulla legittima difesa, il primo film da vedere è "La notte dei morti viventi". È il 1968 e nasce il più popolare tra i mostri moderni: lo zombi. Esisteva già, ma come frutto di magie haitiane e controllato dal mago-stregone. George A. Romero – che peraltro chiama i suoi mostri ghoul, mai zombi – lo rende come da allora lo abbiamo visto mille volte: esito di un virus creato in laboratorio o, nel 1968, di misteriose radiazioni di una sonda di ritorno da Venere. Lo zombi non è controllabile. Abbia movenze lente e goffe o, come in "Resident evil", sia agile e scattante, ha sempre un'insaziabile fame di carne umana, meglio se è il tenero cervello. Ma si accontenta pure di putride viscere.
Il mostro si presta facilmente alle letture simboliche. Nel 1968, era una critica alla guerra del Vietnam; o della guerra fredda; o del capitalismo sfrenato. In quel primo film il protagonista è nero. Fu, stando a Romero, una scelta del tutto casuale, certo non ispirata alla morte di Martin Luther King, ammazzato quando il film era ormai girato e montato. Eppure ci fu chi vi vide la metafora della persecuzione dei neri... forse senza sbagliare del tutto.
"La notte dei morti viventi", costato poco più di 100mila dollari, ne incassò decine di milioni e tutti probabilmente lo conoscono. In breve: in Pennsylvania i morti escono dalle tombe orrendi e affamati. Sette superstiti si rifugiano in una casa isolata e subiscono l'assedio dei morti viventi. Le crisi estreme fanno emergere il meglio o il peggio di ciascuno di noi. L'unico eroe, generoso e altruista, è un nero. Sarà anche l'unico a restare in vita. Ma al mattino, quando la squadra di pistoleri bianchi, sterminati gli zombi, si avvicina alla casa, intravedendo la sagoma barcollante del nero gli piazza un colpo in testa, senza alcun preavviso, perché con gli zombi non si discute. Ammazzare zombi è legittima difesa priva di sciocchi scrupoli o rimorsi. E se ci scappa il morto che mostro non è, neanche ce se ne accorge. Anzi, lo sceriffo si complimenta con il cecchino: bel colpo!
Ognuno si sbizzarrisca nella sua personale lettura simbolica o metaforica. Gli zombi assediano la nostra casa, vogliono entrare e farci del male. Sono senza volto e senz'anima. Ammazzarli è giusto, un dovere, un merito. Liberiamo il paese dalla loro lurida feccia. Ma se gli zombi fossimo noi? Famelici come consumatori che tutto consumano ma, non essendo ancora soddisfatti, finiamo con il divorare ogni risorsa, il pianeta, noi stessi? Noi, gli ingordi senz'anima e con un cervello azionato da un virus, un impulso, uno stimolo biochimico?
Quel primo film è stato rifatto innumerevoli volte con piccole o grandi varianti. Dieci anni dopo, in "Zombi", i superstiti si barricano in un certo commerciale, dove hanno a disposizione un'infinità di beni di consumo, roba da far perdere la testa. Intanto, chi "la testa" l'ha persa per davvero, gli zombi, li assediano. La legittima difesa diventa presto legittima follia. Tutti si tramutano in mostri. Nulla, nulla, nulla più ha senso.
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