venerdì 2 dicembre 2011
Lupus extra, stavolta. Ieri, leggendo "Repubblica", ho ripensato a S. Agostino che parlava di sé «così piccolo bimbo e così grande peccatore!». Variazione: così intelligenti e così incapaci di capire? In prima, e in due pagine interne (62-63), Adriano Sofri e Vito Mancuso ragionano sul «suicidio assistito» di Lucio Magri. Titolo interrogativo a p. 1 («Ma il diritto di morire è un diritto?») e dentro: «Disporre della vita»… «Il momento della pietas. Compassione per i suicidi: troppo facile condannarli». Articoli belli, pieni di delicatezza non solo per Magri: per tutti i suicidi, in specie – da noi – dei carcerati in discariche umane istituzionalizzate e dei giovani, cui questa società, con responsabilità forti (anche per noi che ci diciamo cristiani) non offre, o toglie, vera speranza di vita. Non giudicare? Avere pietà? Certo. Prendere atto che c'è gente di grande valore che ha fatto questa tragica scelta? Certo. Ma così il discorso si ferma a mezz'aria. Metti i piedi in terra e pensi che in questo momento da noi è in ballo la scelta per una legge dello Stato. Già: nella società odierna a ciascuno la "sua" legge morale – è un fatto ovvio – e a tutti la legge civile. Qui il punto. Libero Sofri, libero Mancuso – posto che questo sia il pensiero di ambedue – di pensare che anche da noi debba esserci la stessa possibilità legale che esiste in Svizzera? Liberissimi. Ma poiché una legge deve essere concepita per tutelare al massimo possibile il «bene comune» – che è e deve essere il fine di ogni legge civile – libero io, e liberi noi, se qualcuno la pensa come me, di valutare che la legge che esiste in Svizzera peggiorerebbe la realtà complessiva e moltiplicherebbe le «sconfitte di tutti». Anche amici e compagni di Magri hanno sentito l'evento come «sconfitta per tutti», ovviamente degna di pietà. E allora in democrazia – anche la nostra – ci si confronta, si dialoga, finché è possibile si cercano punti di incontro e poi, se non si trovano, si vota. Ma allora perché, in vista di una legge civile valida per tutti, Sofri e Mancuso sembrano volere, posto che sia questo il senso del loro ragionare, che io, o noi, rinunciamo al nostro ragionare e a decidere in libera coscienza? Solo perché siamo d'accordo con un principio che a loro pare "solo" religioso? O perché il suicidio, assistito o meno non fa differenza, è ritenuto da noi un male, e non solo una sconfitta per tutti? Discutiamo, ragioniamo, senza scomuniche preconfezionate a vicenda, ed eventualmente votiamo. È democrazia questa, e vale non solo per il suicidio assistito. I cattolici sono tanti, da noi? E quelli "adulti"– e dai, ancora? – sono troppo pochi? Se per "adulto" si intende – ahimè – uno che fa sempre il contrario di ciò che gli ha detto qualcun altro – nel caso un principio religioso – siamo fuori strada, siamo alla discriminazione di coscienza. Vale per la legge sul fine vita, e vale per ogni altra legge che possa essere proposta e discussa. Dà fastidio sentir parlare di «princìpi non negoziabili»? E perché mai rifiutare che qualcuno, su certe questioni fondamentali, possa non contemplare "mercati"? Questo forse impedisce che su quelle stesse questioni prevalga eventualmente e democraticamente la libera opinione altrui? Torna, così, la domanda: possibile che due persone intelligenti e colte come Sofri e Mancuso diano per scontato che il «non giudicare» e la «pietas» siano solo loro? Nessun giudizio su Magri, e tanta pietas (basterebbe rileggere ciò che Marina Corradi ha scritto il 30 novembre scorso su Avvenire) per il dolore e lo smarrimento che lo ha condotto a questo viaggio senza ritorno… Il giudizio non è mai sulle persone, il cui "cuore" – termine biblico che Mancuso conosce bene – nessuno di noi vede. Ma se si tratta di una legge da fare, e da fare tutti insieme – per diritto di cittadinanza comune – si possono avere idee diverse. Si dialoga, ci si confronta, si cerca il bene comune maggiore (o, talora, il male minore) e poi si vota: senza anatemi e scandali. Ultimo pensiero per Vito Mancuso, per me ancora amico e "collega": vero che nella Bibbia non c'è «condanna per il suicida», ma c'è riprovazione per il suicidio, ripetuta e forte, perché come egli stesso scrive, «la nostra vita è nelle mani di Dio». Ecco: che qualcuno sia come costretto dalle circostanze penose e tragiche a, per così dire, toglierla dalle «mani di Dio» a tanti non pare una buona notizia. Di qui, senza giudizi sulle persone, il rammarico e la decisione di evitare che la legge faciliti e organizzi tragedie simili, con tutto l'impegno comune per evitare che d'ora in poi se ne creino anche le premesse: per chiunque.
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