giovedì 19 febbraio 2004
Questa cosa molto ingiusta si verifica in ogni guerra: tutti rivendicano per sé il merito dei successi, mentre la colpa degli insuccessi viene fatta ricadere su uno solo. Che il successo abbia molti padri, mentre l'insuccesso rimane facilmente orfano, è una verità che si dimostra non solo in guerra, come voleva il grande storico romano Tacito nella sua commossa biografia del suocero Agricola, caduto vittima della gelosia dell'imperatore Domiziano. Guai ad essere coinvolti in qualche scacco o in una sconfitta di qualsiasi tipo: è l'occasione per conoscere cosa sia la solitudine. Gli amici prendono subito le distanze, gli inviti si diradano, una cortina di silenzio e di distacco circonda subito la nostra vita. In quel momento l'unico aspetto positivo è quello più difficile da far digerire al nostro orgoglio. Lo esprimeva molto bene Bossuet, celebre vescovo e oratore del Seicento, nella sua orazione funebre per Enrichetta Maria di Francia, regina d'Inghilterra: «Gli insuccessi sono i soli maestri che possono rimproverarci utilmente e strapparci quella confessione di aver sbagliato che costa tanto al nostro orgoglio». Al contrario, quando si è sulla cresta dell'onda, non solo la folla degli amici s'infittisce ma si moltiplicano anche quelli che accampano meriti, che svelano segrete connivenze, che ostentano antiche e motivate amicizie. Alexandre Dumas padre, l'autore dei Tre moschettieri, aveva una bella battuta - è un lettore a segnalarmela - che suonava così: «Nulla riesce meglio del successo: è la calamita morale che tutto attira a sé». La lezione è facile a dirsi ma difficile a praticarsi: umiltà, pazienza e coraggio nell'insuccesso; intelligenza, realismo e ancora umiltà nel giorno del successo.
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