mercoledì 15 maggio 2013
È un momento di grazia per Alessandro Spina che, sotto il titolo Triptyque Libyen, vede riuniti in Francia, per le prestigiose edizioni L'Age d'homme, tre suoi celebri racconti, Il giovane maronita, Le notti di Omar, Il visitatore notturno, splendidamente tradotti da Gérard Genot e prefati dall'italianista della Sorbona, François Livi. Il pubblico francese era già stato allertato, nel 2009, dal prezioso Cahier de l'Herne dedicato a Juin 1940, il racconto che fece conoscere in Italia questo insolito scrittore che, nello scenario della conquista coloniale italiana in Libia, racconta l'Oriente con gli occhi degli orientali, senza smettere di essere occidentale.In questi stessi giorni la Morcelliana manda in libreria Elogio dell'inattuale (pp. 192, euro 15) che raccoglie scritti giornalistici di Alessandro Spina, ben noto ai lettori di "Avvenire" per la rubrica che ha tenuto l'altr'anno su questo giornale.Anche nella misura breve, Spina è scrittore di vasti orizzonti, talmente abituato ai grandi spazi assaporati in Cirenaica, da avanzare il sospetto che «il deserto sia una controfigura del tempo». E basta una frase come questa, buttata lì come niente, a far capire la distanza che separa uno scrittore da un qualsiasi Saviano.In queste pagine, Spina dà conto delle sue letture di ieri e di oggi, magari dello stesso testo riletto dopo anni, in sintonia, dunque, con il nome di questa rubrica. Del resto, chi rilegge in quest'epoca di non lettori?Gli autori preferiti da Spina sono anche francesi e anglosassoni, ma soprattutto russi e tedeschi, Cechov, Mann, Fontane, accomunati dal saper scrivere storie con molti personaggi tutti essenziali, come nelle Mille e una notte, e con grandi avventure interiori.Spina sa distinguere tra memorie e diario, perché le memorie sono in qualche modo predisposte, «intendono comunicare con altri, per i quali sono preparate»; il diario invece non ha una strada precisa, «come una bestia, un quadrupede o un uccello, il diario va dove gli pare - e non imita chi non sa viaggiare che sul treno dell'attualità pubblica. Anche il diarista ha un'anima e l'anima è un paesaggio, che ovvietà».Queste pagine "inattuali", sono dunque di diario o, ancor meglio, esempi dell'arte di conversare, e chi ha il privilegio di conoscere Spina, sa che affascinante conversatore egli sia. Infatti, per spiegare Fontane, Spina si appropria delle parole di Ladislao Mittner: «I ricevimenti affascinano Fontane non perché vi succeda qualcosa (infatti non vi succede mai nulla), ma perché vi si conversa; e quanto egli si propone di farci sapere non è ciò di cui si conversa, ma la maniera come si conversa».E, con la conversazione, il teatro, anche il teatro lirico. Così si conclude un ragionamento su realtà e finzione, letteratura e storia: «La mente vede più in là degli occhi. È il grave insegnamento del romanzo, del dramma, tutto è teatro e l'albergo del teatro è la mente». Il concetto sarà sviluppato nel capitolo 35, intitolato La mente come spazio scenico. Ci sono poi i ricordi degli amici sceltissimi: il musicista Camillo Togni, «fra i maggiori della seconda metà del secolo scorso», allievo di Arturo Benedetti Michelangeli, e se «tutto il mondo parla di Michelangeli, a Brescia si dice Benedetti, anzi, per antonomasia, il Maestro»; Vanni Scheiwiller, «l'indimenticabile gnomo dell'editoria italiana, sempre in anticipo sui dinosauri del mercato»; e, presente quasi in ogni pagina, in filigrana, Cristina Campo, selettiva nelle letture, sublime nella scrittura. È vero, Alessandro Spina «ha scelto l'estraneità come metodo». Ma, spiega egli stesso, quella frase ha l'evidenza di una lastra tombale, solo che cela vita, non morte.
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