sabato 11 luglio 2015
Nella vecchia casa di montagna la tavola si poteva allungare fino ad ottenere dieci posti. Ma c'era una seconda, più piccola per i bambini che in quel tempo non mancavano mai. Nonna Ida, dagli occhi grigi e i capelli scuri, raccolti sulla nuca con pesanti trecce, aveva il suo posto che nessuno avrebbe mai pensato di occupare. Poi lo zio Pietro, alto ed elegante che mangiava con sobrietà quasi non fosse per lui cosa necessaria, aveva vicino la sorella Maria, allegra, bionda, per noi una zia divertente e per Augusto, il marito, un sollievo alla propria timidezza. Il posto di mamma Francesca denunciava con chiarezza a chi spettava il governo dalla casa e la responsabilità che tutto proseguisse senza difficoltà, dalla bontà delle pietanze all'interesse delle conversazioni senza contese. Negli ultimi posti eravamo ammesse noi due, Lucia e io, che a otto e nove anni avevamo imparato le regole della casa: quanto fosse necessario sedere con la schiena non appoggiata alla sedia, come non si dovesse fare rumore con le posate e soprattutto a tacere e ascoltare i discorsi dei grandi . Ma ogni tanto, alzando lo sguardo dal piatto guardavamo gli occhi azzurri di nostro padre, che a capotavola, ci sorrideva, quasi a dire: non preoccupatevi, va tutto bene. I nipoti più giovani, belli, urlanti e biondi avevano il compito di ricordare a tutti che eravamo in tempo di vacanza e che fuori al confine del prato correvano i caprioli per andare a bere e la foresta tutto attorno offriva infinite curiosità da scoprire. Nostro padre ci accompagnava negli alti boschi oscuri dove pini e larici, querce e betulle vivendo in armonia erano rifugio di lepri, caprioli, cervi e quel paradiso di piccoli animali senza nome che volano, bisbigliano, si arrampicano, gridano alto. E sempre camminando sia nella nebbie del mattino, come tra le frecce di luce che il sole lancia attraverso i rami del bosco, raccontava che la giovinezza va usata bene, che è giusto limitare le necessità, non perdere mai la speranza, né il coraggio, che la luce del giorno non ha padroni, che l'aria e quel cielo che vediamo è di tutti, come il diritto alla libertà. Ma anche la libertà, diceva, ha un costo che è l'onestà, la ricerca del bene comune prima del tuo, la fatica dello studio o la ricerca di una giusta divisione dei beni come offerta di giustizia. Eravamo ancora bambine e le sue parole cadevano su di noi come quella pioggerella sottile e invisibile che ci avrebbe accompagnato fino a casa. Oggi ritrovo quella sua voce nel verde del bosco, quasi un grido ai fratelli d'Europa perché ritrovino la via dell'armonia e dalla pace.
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