sabato 1 dicembre 2007
Fuori serie: per la seconda enciclica di Benedetto. Dopo la carità, la speranza. È già venuta tanta fede, nelle parole, e in specie nel libro su Gesù, ma la speranza viene bene per chi pensa e scrive " ultima Barbara Spinelli su La Stampa " di un Papa "disperato" e "angosciato". Qui una breve riflessione etimologica per dire dei suoi contenuti. Nelle lingue neolatine " "speranza", "espoir", "esperanza" " il termine viene dal latino "spes", con radice in "spat" di "spatium", e dice che chi spera allarga la sua base e così è saldamente stabile e non rovesciabile. Nelle lingue anglosassoni " tedesco "hoffnung" e inglese "hope" " la radice comune è nel verbo "huepfen", saltare, ed ecco perché il fantino dice "hop!", quando incita il cavallo al salto, e da noi si dice "oplà"! Per capire come la speranza non si arresta davanti agli ostacoli, ma li salta. Ancora: in greco abbiamo il termine "elpìs", che ha perduto la prima consonante, cioè il digamma che somiglia alla "v", e in latino si accosta ai termini "velle" (volere), "voluntas" e anche "voluptas" (piacere), per indicare la forza della volontà e del desiderio appassionato. Ecco la sintesi: l'uomo di speranza è uno solidamente ancorato, che non viene rovesciato dalle avversità, che salta gli ostacoli che gli si parano innanzi ed è uno che con forte volontà persegue appassionato l'oggetto del suo desiderio. Questa è anche speranza umana. Se ad essa " e qui è il dono di grazia per cui «spe salvi facti sumus» " aggiungiamo con Paolo (Rm 5,5) che «la speranza non delude perché l'amore di Dio è stato rovesciato nei nostri cuori» abbiamo un disegno perfetto. Buona lettura!
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