Sono senza eredi Giudici e Zanzotto, due tra i maggiori poeti del '900?
sabato 3 dicembre 2011
Il 16 dicembre l'Università "La Sapienza" di Roma dedicherà una giornata a due dei maggiori poeti dell'ultimo mezzo secolo, Giovanni Giudici (nato a La Spezia nel 1924) e Andrea Zanzotto (nato a Pieve di Soligo nel 1921) entrambi scomparsi nel 2011. Di Giudici non si avevano più notizie da molti anni: la malattia da cui era stato colpito gli ha impedito a lungo una vita di relazione. Pochissimi (solo i parenti stretti, credo) sanno in quali condizioni mentali e psichiche sia vissuto. Andrea Zanzotto si è spento lentamente: si è espresso, ha parlato, ha scritto fino alla fine. Festeggiato con grandi onori lo scorso ottobre per il suo novantesimo compleanno, ha pubblicato sul "Corriere della sera" un articolo nel quale si difendeva da una festa che certo lo riguardava, ma nello stesso tempo, ormai, non poteva riguardarlo.
Difficile immaginare due poeti più diversi. Nella loro opera si sono pienamente manifestate e divaricate le due tendenze fondamentali della nostra poesia novecentesca: l'autobiografia teatralizzata in Giudici, l'autoanalisi dell'io lirico in Zanzotto. Giudici, poeta "relazionale", confessionale, realistico, prevalentemente prosastico, veniva da Saba, Gozzano, Machado, Puškin: sentiva il bisogno di appoggiarsi su istituzioni stilistiche e metriche, morali e politiche, la sua "musa umile" gli imponeva di non abbandonare né la Chiesa cattolica né il Partito comunista italiano (e qui l'aggettivo "italiano" conta molto).
Zanzotto veniva dalla poesia pura e assoluta, dall'ermetismo, dal surrealismo, da Ungaretti, Lorca, Eluard, Hölderlin: visse la poesia come veicolo di estasi e di patologie da analizzare con tutta la scienza di cui era capace. Giudici è stato un sociologo di se stesso: dipendente della Olivetti, uomo medio con le sue "impiegatizie frustrazioni" e le sue fughe erotiche. Zanzotto scavò nelle stratificazioni ecologiche e storiche del suo paesaggio, mescolando geologia e biologia, lingua letteraria e dialetto.
Sono stati forse i poeti tecnicamente più abili e sorprendenti del Novecento, e oggi non hanno eredi.
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