mercoledì 23 gennaio 2019
La cucina italiana è sempre più amata: lo dicono le classifiche rilevate nella Rete, ma lo dice anche l'evoluzione che si registra in alcuni Paesi. In Spagna, per esempio, sono in crisi i locali che dispensano tapas, ovvero i luoghi dove si sfamava una certa popolazione: pare che dal 2004 ad oggi siano spariti 50.000 esercizi del genere, mentre negli ultimi due anni sono aumentati i ristoranti. I motivi di questa crisi spagnola sono dovuti anche allo spopolamento dei piccoli borghi, più che a una mera questione di denaro circolante, altrimenti non si capirebbe perché aprano i ristoranti. Tuttavia, analizzando i locali che fanno tendenza nel quartiere del Born a Barcellona, si scopre che molti locali che hanno fortuna sono frutto di creatività italiana. E in questo caso, più che una cucina che viene amata, si può parlare di prodotti, se è vero che il gorgonzola abbinato al Vermut di casa nostra sta diventando una novità. Detto questo, ha fatto riflettere l'intenzione della giunta pentastellata di Torino (in realtà non ancora ufficialmente manifestata) di allontanare i fast food dalle scuole, così come avrebbe già fatto il sindaco di Londra. Distanza di sicurezza: almeno 400 metri. La proposta, se verrà manifestata, è destinata alla polemica, anche perché necessita di un riferimento normativo nazionale. Tuttavia la domanda che ci si pone è un'altra: quale sarà l'alternativa? Sì certo, tutti ricordano la panetteria di Altamura che riuscì a battere la concorrenza di un McDonald's; ma quali economie di scala riesce a mettere in atto un esercizio di casa nostra per avere prodotti alla portata delle tasche dei giovani? Bisognerebbe riflettere su quella propensione al chilometro ravvicinato che è diventato uno slogan facile, ma che poi trova scarsa applicazione. Eppure è culturalmente importante, perché invita i più giovani a provare il gusto di ciò che nasce da una terra di prossimità e da un sapere artigianale locale. Sabato scorso a Saronno ho avuto il piacere di un dialogo con una ventina di maestre intorno al tema del gusto. E siamo finiti a parlare del silenzio. Ossia della necessità che quando si mangia qualcosa di buono bisognerebbe stare in silenzio. Per me che degusto un vino, per esempio, è impossibile coglierne le sfumature in un locale assordante, ma la stessa cosa vale per il cibo. E così ho scoperto che in alcune classi questo gioco del silenzio hanno iniziato a farlo da tempo, ottenendo dei risultati interessanti sul fatto che il mangiare non è un atto meccanico. Ora, se si vuole davvero contrastare un modello che non ci appartiene, sarebbe importante domandarsi quale modello meriti invece d'essere valorizzato. E se questo secondo modello richiama il gusto, occorre attuare una strategia perché sia rispettato. Senza troppo rumore.
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