giovedì 16 dicembre 2021
E se l'illuminismo non fosse un'invenzione europea? E se il passaggio dall'agricoltura non avesse provocato l'inizio delle città? E se non fosse vero che la storia ha proceduto dappertutto in una linea continua per cui è obbligatorio che a un certo punto, di fronte a società complesse, ci voglia un re, un dittatore, un capo? E se buona parte delle idee che i francesi chiamano idées reçues, quelle date per scontate, fossero legate a una lettura incompleta, etnocentrica, eurocentrica della storia? È quello che in un libro impegnativo e affascinante uscito recentemente The Dawn of Everything, a New History of Humanity ("L'alba di ogni cosa, una nuova storia dell'umanità") sostengono un antropologo, David Graeber e un archeologo David Wengrow.
David Graeber da poco scomparso è un geniale antropologo allievo di Marshall Sahlins e autore di vari libri di successo, Il debito, i primi 5.000 anni" e Bullshit Jobs. L'altro è un archeologo professore di antropologia comparata all'University College di Londra. Entrambi hanno fastidio dell'evoluzionismo della domenica (quello tanto diffuso in Italia) che confonde l'ideologia con i dati, le evidenze, i ritrovamenti, gli archivi e i documenti. Oggi pensare che tutta l'umanità abbia seguito una sola strada nei passaggi da tribù a società complesse trova costantemente ostacoli nelle continue scoperte che vengono fatte.
I graffiti di Lascaux sono i primi dell'umanità? No, da poco sono stati ritrovati in Indonesia e nel Borneo graffiti più antichi e più significativi. La stessa idea delle origini e diffusioni dell'homo habilis viene continuamente rimaneggiata. I ritrovamenti archeologici ci dicono che accanto alle grandi città di 3.000 anni fa vivevano e si sviluppavano società nomadi complesse che usavano l'agricoltura stagionalmente. I due autori ci ricordano che i grandi pensatori dell'illuminismo avevano in mente l'incontro e i dialoghi con gli indiani d'America, quei famosi irochesi che ispirarono la Costituzione americana prima di essere spazzati via dalla violenza dei coloni. È probabile che in un regime opprimente di monarchie e nazioni l'idea di una alternativa sia proprio arrivata da società in cui la gestione delle risorse era federata o basata su una efficiente redistribuzione come nell'Impero Inca.
Insomma, crederci al centro del mondo serve ormai a ben poco. La storia deve essere in gran parte riscritta e soprattutto deve sfuggire alla banalità neo-darwinista che crede ancora nelle favole del progresso e dello sviluppo intesi nel solo senso (spesso distruttivo) inventato dall'Occidente. Gli economisti soprattutto dovrebbero tornare a scuola per imparare dai documenti storici come altre società e culture sono riuscite a convivere con le risorse e i viventi che avevano intorno senza per forza dovere tutto devastare e lanciarsi verso il suicidio. Un collega di Graeber e di Wengrow, James Scott, che insegna scienze politiche a Yale e i cui testi sono stati tradotti in Italia negli ultimi anni, ci racconta sia che sono esistite fino a pochi decenni fa società "acefale" – in L'arte di non essere governati – sia che gli assunti dell'evoluzione sociale vanno tutti riscritti – in Le origini della civiltà, una controstoria. Riusciremo in Italia a liberarci del provincialismo dei bio-sociologi, bio-storici, bio- evoluzionisti, aggiornandoci finalmente?
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