sabato 27 gennaio 2018
Sentire parlare, nel 2018, di diritto alla libertà religiosa, è un qualcosa che decisamente stride col nostro pensiero “evoluto”. Ma come? Neppure ce ne rendiamo conto, e spesso, anzi, ci viene istintivamente da negarlo. Al massimo arriviamo a dire: si tratta di episodi marginali, occasionali. Non vediamo. Non vogliamo vedere. Girare la testa dall'altra parte è un habitus consolidato. E quando un Papa, come ha fatto qualche giorno fa Francesco parlando agli Yazidi, torna a insistere sulla questione – «è inaccettabile che esseri umani vengano perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa! Ogni persona ha diritto di professare liberamente e senza costrizioni il proprio credo religioso» – se ne prende atto, e si cerca di girare pagina il più in fretta possibile.
Eppure, e non da oggi, la questione della libertà religiosa è centrale nel magistero della Chiesa. Nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae si afferma chiaramente che la libertà di religione «consiste in questo, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale e associata... Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico della società, così che divenga diritto civile».
Parole difficilmente equivocabili, sulle quali il magistero petrino ha costruito pagine fondamentali. E il perché è chiarissimo: «La libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo – ha scritto Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1988, dal titolo “La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza” – è una pietra angolare dell'edificio dei diritti umani, pertanto, è un fattore insostituibile del bene delle persone e di tutta la società così come della propria realizzazione di ciascuno». Da cui consegue che «la libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini».
Benedetto XVI, ritornando nel 2011 sulla questione – sempre per la Giornata mondiale della pace, con un titolo ugualmente chiaro “La libertà religiosa, via per la pace” – osservava in maniera ancora più specifica: «Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà [religiosa] significa coltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionale alla vera natura della persona umana; ciò significa rendere impossibile l'affermazione di una pace autentica e duratura di tutta la famiglia umana». E, aggiungeva ancora papa Ratzinger, «una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell'altro... L'illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, in realtà è l'origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani».
E allora ricordare ancora una volta, come ha fatto papa Francesco, che «in tante parti del mondo ci sono ancora minoranze religiose ed etniche, tra cui i cristiani, perseguitate a causa della fede», e che questo è «inaccettabile», significa che c'è ancora tanta strada da fare, purtroppo, verso una vera libertà e per una vera pace. E che, per questi obiettivi, ciascuno ha una parte da compiere.
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