Senza parole per la gioia di poveri che si laureano
martedì 13 febbraio 2024
Il cortile sotto la mia finestra si rianima ai primi di febbraio, dopo un paio di mesi di solitudine e silenzio. Riprende l’anno scolastico. I ragazzi della scuola tecnica nelle loro divise gialle e verdi corrono e schiamazzano durante la pausa delle lezioni. Ad alcuni danno un po’ fastidio, a me sinceramente rallegrano il cuore. Non ho mai insegnato o lavorato nell’ambito dell’istruzione. Ma ho sempre cercato di creare condizioni per lo studio: nuove aule, sistemazione di vecchie, materiale scolastico, sostegno diretto agli studenti, adozioni a distanza, persino una scuola media più di vent’anni fa... Da noi come in altri Paesi simili alla Papua Nuova Guinea tutto congiura contro lo studio: nelle campagne, carenza di insegnanti, distanze, sentieri impervi e fiumi da attraversare, disinteresse degli adulti; nelle città, povertà urbana, classi affollate, costi dei trasporti, genitori disoccupati. Gli occhi più tristi sono quelli dei già pochi studenti ammessi al livello universitario dopo aver superato ben tre selezioni (ottava, decima e dodicesima) e che devono fermarsi lì. Niente soldi per andare avanti. Alcuni raggiungono le scuole per cui sono stati selezionati soprattutto a Port Moresby e Lae, le città principali, sperando nel sostegno in loco di parenti con casa e lavoro. Ma non sempre ce n’è per tutti. Di qui l’ulteriore imbarazzo del sentirsi ingombranti e mal sopportati. Nulla per un giovane intelligente, istruito e diligente è più devastante del rifiuto. Gli altri si fanno pochi scrupoli e vanno semplicemente ad ingrossare le file di quelli che sopravvivono di espedienti più o meno leciti. Ma i bravi ragazzi, maschi e femmine ugualmente, si chiedono come sia possibile, se sia colpa loro, se ci sia qualcosa che non capiscono. Perché nessuno mi aiuta? È a questa angustia personale, che presto si trasforma in disperazione rassegnata che avvelena una vita giovane, a cui si deve la prima risposta. Chi ne ha la capacità e la volontà deve poter studiare; anche se, come i ragazzi delle remote isole Trobriand, i genitori non hanno un centesimo. Non che non lavorino. Ma sono agricoltori di sussistenza. Piantano e raccolgono quel che serve a sfamare la famiglia. Il vicino produce le stesse cose. In città si potrebbe vendere e fare un po’ di soldi. Ma è troppo lontana. Due giorni di mare. Così la piccola economia isolana permette solo gli studi di base a costi modesti. L’università è impossibile. Sono stato nella missione delle Trobriand solo tre mesi al mio arrivo in Papua Nuova Guinea alla fine del 2003. Sono passati vent’anni. Mi sono poi spostato in altre località tornandoci solo occasionalmente. Ma gli studenti hanno continuato a seguirmi. Non molti, ogni anno due o tre nuovi per la scuola tecnica superiore o per l’università. Tutti figli di agricoltori di sussistenza. Famiglie numerose. Il mio modesto salario come segretario della Conferenza Episcopale non basterebbe senza la generosità dei sostenitori della Fondazione Pime Onlus a Milano e di altri amici in Italia. Immancabilmente arriva quel che serve. Con un leggero margine positivo. Vedere ormai da anni che i figli dei contadini più poveri dopo gli studi insegnano, riparano i computer, dirigono dipartimenti e squadre di lavoratori nelle miniere... beh, non mi vengono le parole; forse non esistono. Quel che si prova dentro lo si tiene per sé. Tutto inizia con un bagliore negli occhi il giorno in cui dico loro che li posso aiutare. E finisce tre o quattro anni dopo con la festa di laurea. Poi li lascio. Possono ormai camminare con le loro gambe. © riproduzione riservata
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