martedì 30 giugno 2020
«Memoria e identità» è il binomio che dava il titolo all'ultimo libro di san Giovanni Paolo II, pubblicato 15 anni fa quasi in contemporanea con la sua scomparsa. In quel volume, sottotitolato «conversazioni a cavallo dei millenni», Karol Wojtyla tirava le somme di una lunga e profonda riflessione personale sul significato della vita sua, del suo Paese natale – la Polonia – e anche della storia europea. In quello stesso anno 2005 Angela Merkel, che domani assumerà la presidenza di turno dell'Unione europea per il prossimo semestre, diventava cancelliera della Repubblica federale tedesca, incarico che da allora ha mantenuto senza sosta fino ad oggi.
Da quando la Ue è diventata "a 28" (anche se adesso con un componente in meno causa Brexit), nessun capo di governo è riuscito a prendere la guida della più importante istituzione comunitaria per due volte. Ce l'ha fatta, grazie alla sua longevità politica, la "kanzlerin" venuta dall'Est, che già era stata in carica a Bruxelles nei primi sei mesi del 2007. Non sarà facile per altri premier tagliare lo stesso traguardo. Ma adesso il migliore augurio che si può rivolgere al capo del governo di Berlino è che la sua leadership si ispiri quanto più possibile a quelle due parole di un grande Papa, che lei non ha fatto in tempo a conoscere da primo ministro.
Perché un augurio riguardo alla memoria? Perché ad esempio, nel passato politico e nella carriera di "Frau Angela", ha svolto una parte di rilievo il suo mentore Helmut Kohl, nonostante la famosa "lettera del tradimento" con cui l'antica "pupilla" gli chiese di farsi da parte per lo scandalo dei fondi neri alla Cdu. Il quale Kohl, invece, con Giovanni Paolo ha avuto più volte modo di confrontarsi da vicino, di ascoltarne i racconti, i giudizi e le attese per i popoli del vecchio continente. Soprattutto durante la visita del 1996, rimasta storica anche per la fotografia che ritrae lo statista tedesco e l'anziano pontefice sotto la porta di Brandeburgo.
Qualche tempo prima della sua morte, avvenuta tre anni fa, Kohl rievocò quella passeggiata insieme, segnata peraltro da contestazioni di piazza che entrambi accolsero serenamente. Giunti sotto il varco centrale del monumento, Giovanni Paolo gli prese la mano dicendo: «Signor Cancelliere, questo è un grande momento nella mia vita. Io, il Papa che viene dalla Polonia, sono con Lei, il cancelliere tedesco, alla Porta di Brandeburgo e la Porta è aperta, il Muro è caduto, Berlino e la Germania non sono più divise e la Polonia è libera».
In quella mirabile sintesi storica, in quella "memoria" condivisa della recente vicenda europea, capace di lasciarsi alle spalle rancori secolari e tragedie immani, grazie anche alla comune ispirazione cristiana, Angela Merkel deve continuare a riconoscersi. Allo stesso modo dovrà declinare con tenacia l'appartenenza a una medesima "identità", quella su cui poggia l'edificio dell'Unione, oggi alle prese con le conseguenze devastanti della pandemia. Alla Cancelliera non mancano doti di coraggio e capacità politica. Sa mediare come pochi sulla scena comunitaria, ma sa anche decidere. Lo dimostrò con il noto "Wir shaffen das" (possiamo farlo), che nel 2015 aprì all'accoglienza di un milione di profughi siriani.
Giorni addietro la Merkel ha ribadito ancora la sua profonda ispirazione europeista, ricordando al Bundestag che "ciò che è buono per l'Europa è buono per noi". Ed è ben consapevole che nei prossimi mesi la Ue si gioca il futuro proprio e dei popoli che ne fanno parte. «Non dobbiamo essere ingenui – ha detto di recente – le forze antidemocratiche, i movimenti radicali e autoritari stanno solo aspettando le crisi economiche per abusarne politicamente». Davvero buon lavoro, presidente.
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