venerdì 26 settembre 2014
Viene dalla Slovenia, una nazione che confina con la nostra (e divide con la nostra una città, Gorizia/Nova Goritza, ora per fortuna non più divisa da odiosi posti di blocco) ed è di cultura più austriaca che balcanica, un film straordinario e
che merita il massimo di attenzione. Class Enemy è in uscita in queste settimane nelle sale italiane e lo
consiglio anzitutto a una categoria precisa di professionisti, gli insegnanti
delle superiori, perché esso li vede protagonisti insieme a una classe particolare,
insieme ai loro allievi. Tutto il film è ambientato dentro un liceo che il
regista tratta come un microcosmo della Slovenia di oggi, una società che può
ben fungere da esempio dell’Europa di oggi, quella più solida e media, e
centrale non meridionale. Il regista si chiama Rek Bicek e non ha ancora 29
anni: ed anche questo è importante, anzi straordinario se si pensa alla
maturità di cui il film dà prova esteticamente (per la compattezza quasi teatrale,
ma con qualcosa dello psicodramma, e la direzione di attori in parte
professionisti e in parte "presi dalla vita") e per la maturità del
discorso, dell’analisi. In una classe, la vecchia prof di tedesco va in licenza
perché sta per partorire e il nuovo prof è un tipo austero e impenetrabile, ma
molto sicuro del suo modo di lavorare, che irrita i ragazzi perché privo di
ogni compiacenza nei loro confronti, esigente, rigido, freddo. "Un
nazista", secondo loro. Una ragazza si ammazza, inaspettatamente, e i suoi
colleghi attribuiscono alla durezza del prof lo scatenamento della crisi. Ma
non è lei a interessare il regista, bensì ciò che questo suicidio scatena fino
alla rivolta degli allievi contro il professore antipatico, contro la scuola.
La terza componente di questa microsocietà, i genitori, compare in un’unica
lunga scena ed è quella più ferma e più stupida nei suoi particolarismi, quella
che capisce di meno, un gruppo vario solo per le varianti dell’egoismo e dell’ottusità
(ed è tragicamente vero anche da noi, credo). Quel che alla fine si ricava è la
difficoltà di convivere e trovare finalità in grado di "fare
comunità": nel piccolo di una classe, nel medio di una scuola, nel grande
di una città, nel vasto di una società. Ognuno ha la sua verità, ma senza confronto
non si va lontano, e tutto può accadere. I giovani sembrano e sono vittime
confuse, ma possono facilmente mutarsi in carnefici, dentro un mondo che è
davvero poco simpatico. Questo vale per la Slovenia, ma anche per noi.
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