venerdì 6 maggio 2011
Essere troppo scontenti di se stessi è debolezza. Essere troppo contenti di sé è stupidità.

Devo confessare di nutrire un'ammirazione di lunga data per il grande filosofo, scienziato e credente francese Blaise Pascal. Lessi i suoi Pensieri già in liceo: eterogenei, frammentari, diseguali, eppure attraversati da folgorazioni uniche. È noto che egli amava il convento di Port-Royal ove era suora sua sorella Jacqueline, ed è pure conosciuto il suo orientamento giansenista che anche in quel luogo si coltivava. Là si ritirò, dopo la sua crisi religiosa e l'"illuminazione" del 23 novembre 1654. Là si ritirerà anche una donna bellissima, un'intellettuale che Pascal aveva già conosciuto nel salotto da lei tenuto a Parigi: era Madeleine de Souvré marchesa di Sablé (1599-1678), amica appunto di Pascal e di un altro pensatore non di rado ospitato in questa rubrica, La Rochefoucauld.
È a madame de Sablé che oggi sono ricorso per una riflessione su un tema da lei suggerito in un suo scritto. È un'esperienza abbastanza frequente. Incontriamo persone permanentemente scontente di sé e della vita, insoddisfatte in modo sistematico, deluse, tristi, amareggiate e fin sconfortate. Il loro stesso viso assume i tratti della loro anima pessimistica. Ma c'è anche chi è sereno nella sua beceraggine, fin sbruffone nell'ostentare la sua superficialità e vacuità interiore. Raggiungere l'equilibrio nella capacità di giudicare il bene e il male che sono in noi e negli altri e, quindi, essere realisti e oggettivi, sceverando grano e pula, è un esercizio necessario. Purtroppo, come diceva Oscar Wilde, ironico scrittore inglese, «l'equilibrio è una cosa fatale; nulla ha più successo dell'eccesso».
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