giovedì 20 marzo 2008
Titoli squillanti, e testi d'accusa: "Il Papa tace su Lhasa. E parte la polemica" ("La Stampa", 17/3, p. 3). "La Chiesa in silenzio divide i cattolici. Troppa realpolitik. No, diplomazia" ("Corsera", 18/3, p. 13). "Quel silenzio all'Angelus" ("Unità", 18/3, p. 11). Domenica Benedetto XVI parlando dell'Iraq ha detto «basta alla violenza» con una serie di frasi più che mai dure e severe, ribadendo il diritto di tutti, popoli e uomini, a vivere in pace. È successo però che lunedì queste sue parole siano passate quasi inosservate anche in pagine che da sempre gridano contro la guerra in Iraq, mentre in tante pagine, quasi tutte e con clamore, ci si è stracciati le vesti laiche perché non ha esplicitamente ricordato il dramma del Tibet. C'è stato persino un ministro in carica ("La Stampa", ivi) che ha malignato sul silenzio di «questo papato che si caratterizza proprio per la pretesa di interferire su chi non è cattolico e di imporre anche ai non credenti» le sue opinioni" In ogni caso ieri il Papa ha parlato. Però forse è eccessiva certa pretesa laica di scrivere anche i discorsi del Papa, e come si è fatto notare da "Propaganda Fide", che di sicuro e per competenza segue molto bene la realtà del Tibet, va ricordato che «quando il Papa invoca la pace e la fine della violenza lo fa per tutti, anche se cita solo l'Iraq». Da ultimo, con qualche ironia, fa un po' effetto leggere "Quel silenzio all'Angelus" per un ritardo di due giorni su un giornale che, se non è stato complice, per più di mezzo secolo ha comunque taciuto su milioni di credenti perseguitati, imprigionati e uccisi. Ma guardiamo avanti!
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