scaffale basso 5 settembre 2016
lunedì 5 settembre 2016
Era stata proprio la mamma a voler partire, innamorata ingenuamente di quella parola, San Francisco, nome spagnolo del santo protettore di Catanzaro. A San Francisco, di là dall’Atlantico, era certa che ci sarebbe stato un mondo migliore in cui ricominciare a vivere. Inseguendo follemente quel sogno, senza la minima idea di cosa fosse l’America, la famiglia Amati lascia la Calabria, una vita dura e misera, per l’ignoto. Il paese, e la bella Italia si fanno subito rimpiangere perché la traversata dell’Oceano è terribile e il viaggio a piedi, con un’asina e un carretto minuscolo come casa, per raggiungere la costa del Pacifico si rivela ancora peggio. Siamo nell’ultimo ventennio dell’800 e la grande ondata migratoria italiana non è ancora iniziata. Gli Amati - due genitori e tre bambini, Giovanni, Curzio e Paola di undici, dieci e otto anni - non conoscono una parola di quella lingua, né tantomeno la storia e le abitudini di quella gente straniera. Sicché quel Paese fantasticato con superficialità si rivela ben presto in tutte le sue avversità: il West è un mondo ostile, pieno di pericoli, indiani compresi, in cui è difficile fronteggiare sia un’umanità violenta in lotta per la sopravvivenza che una natura crudele, arida e inospitale anche per chi è cresciuto nell’assolata e arida Calabria. Ma è troppo tardi per tornare indietro. La pista crudele -
titolo di questo romanzo dell’autore francese Jean-François Chabas, pubblicato dalle Edizioni Messaggero di Padova (12 euro) – è un cammino infernale, fatto di fame, sete, paure, animali feroci e banditi dalla pistola facile, che mette alla prova la resistenza degli adulti e dei bambini. Finché un giorno svegliandosi i tre si accorgono di essere rimasti soli. I genitori sono spariti e loro dovranno cavarsela senza adulti… Un ritratto amaro ma pieno di realismo dell’esperienza dolorosa dei migranti. Terribile ieri come oggi.
Dai 14 anni.

L’orfanotrofio in cui è rinchiuso Arcady è una sorta di prigione dove le giornate segnano una continua lotta per la sopravvivenza. Lì scontano una colpa che non hanno i figli di quelli che lo Stato sovietico, negli anni appena prima della seconda guerra mondiale, considera nemici del popolo. Arcady ha un vantaggio rispetto agli altri ragazzini: gioca a calcio come un campione, sa dribblare uno dopo l’altro gli avversari e portare la palla in rete con una disinvoltura rara. Ma giocare per lui significa anche mangiare: ogni partita vinta vale una razione supplementare di pane per sé e per il compagno che perde. In qualche modo Arcady è il vanto del perfido direttore dell’orfanotrofio, un fiore all’occhiello da mostrare agli ispettori che regolarmente visitano l’istituto e tra i quali, gli viene lasciato intendere, si mescolano allenatori di calcio in cerca di piccoli talenti. Ivan Ivanych sembrerebbe uno di questi, se non fosse per i suoi modi impacciati, lo sguardo sorridente e l’intenzione dichiarata di adottare il ragazzino. Arcady accetta, convinto che proprio Ivanych lo farà entrare nella storica e prestigiosa Società sportiva dell’Armata Rossa. Il mondo fuori dall’orfanotrofio è un universo sconosciuto per lui, che non ha mai assaporato la libertà né conosciuto il conforto di un’attenzione, di una casa vera, di un pasto caldo e di un abbraccio affettuoso. Adulto e bambino hanno molte cose da scoprire insieme, tenerezze e sogni da inseguire con coraggio, nonostante il clima opprimente e di terrore dello stalinismo che il racconto ben delinea.  Il coraggio di un campione (Il Battello a vapore Piemme; 16 euro) è firmato da Eugene Yelchin, nato
in Russia nel ’56 ma americano dall’83, che ha realizzato anche le illustrazioni.
L’autore si è ispirato alla storia vera di suo padre, Arcady Yelchin, capitano della Società Sportiva della Casa dell’Armata Rossa nel 1945. Dagli 11 anni.
 


Non tutte le volpi sono astute predatrici, ladre di galline. Prendete questa, goffa e maldestra ma infinitamente simpatica, che tenta invano di assaltare il pollaio. Le galline non ne possono più di guardarsi le spalle, il cane è stufo di rimediare alle buche sotto la staccionata della fattoria. La poveretta, che non farebbe paura a una mosca, ma neppure al coniglio e al maiale, non ne azzecca una. Stanca della sua fama di bassa lega, decide di chiedere consigli e trucchi al lupo, lui sì un gran furbacchione afflitto dal problema opposto. Appena si avvicina le galline alzano le penne e lo mettono in fuga. Le prime lezioni sull’ABC del terrore sono un fallimento; la volpe non ha proprio la stoffa del predatore. Ma quando sembra decisa a mollare tutto e a tornare al suo piatto di rape, il lupo le presenta un piano infallibile: andare alla fattoria, rubare le uova, covarle, tirar grandi i pulcini e poi papparseli… Un piano sicuro e ingegnoso finché la volpe si scopre un tipetto emotivo, incapace di cattiveria e preda di un istinto che fino ad allora non pensava di possedere. Esilarante, Chi ha paura della volpe cattiva? (Rizzoli; 17,50 euro) è una tenera graphic novel illustrata da Benjami Renner fumettista e regista tra gli autori di Ernest e Célestine. Il libro, premiato in Francia con il Prix Jeunesse Angoulême 2016 diventerà un cartone animato per la tv. Un divertimento per i giovani lettori, altrettanto per gli adulti…
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI