Irena Sendler e i bambini del ghetto di Varsavia
mercoledì 26 ottobre 2016

Realtà e finzione si intrecciano in questo romanzo dove si viene rimbalzati tra la Varsavia di oggi e quella di ieri. Teodor è un sedicenne con il talento dell’artista, in rotta con il padre che per lui nutre altre ambizioni. In casa è taciturno e mal sopporta la presenza del nonno che da poco abita in famiglia, uomo taciturno, scorbutico e a tratti divorato da pensieri che talvolta lo fanno perdere nella città in preda a uno sconforto indicibile. Le strade di Teo e di suo nonno sono destinate a incrociarsi quando dopo l’ennesima sparizione sarà proprio in ragazzo a ritrovarlo e a incuriosirsi di un barattolo segreto che il vecchio porta sempre con sé e che racchiude il terribile dramma della sua infanzia nel ghetto di Varsavia, anno 1943. Una storia che Teo vuole conoscere e che riporta in primo piano la vita vera e speciale di Irena Sendler, all’epoca assistente dei servi sociali nel ghetto, che con infinito coraggio e mille stratagemmi riuscì a salvare oltre duemilacinquecento bambini ebrei, tra cui il nonno di Teo e il suo migliore amico, facendoli uscire dal ghetto prima che venissero deportati e affidandoli a famiglie ariane che avevano accettato di prenderli con sé.



Salvandoli così dalle camere a gas. Una vicenda tormentata e toccante che il racconto di Daniela Palumbo ci regala recuperando una storia ignorata nel tempo e venuta alla luce solo cinquant’anni dopo la fine della guerra. Il cuore coraggioso di Irena (ElectaYoung; 16,90 euro) rende un po’ di giustizia alla generosità di una donna che, assumendosi un grande rischio, non si è rassegnata alla follia nazista e l’ha documenta in un diario perché non andasse perduta la ferocia degli aguzzini e la memoria dello sterminio degli ebrei polacchi. “Avrei potuto fare di più. – ha scritto nelle ultime pagine del suo diario – Questo rimpianto non mi lascia mai”. Morta nel 2008 a 98 anni Irena Sendler è stata riconosciuta da Israele già nel 1965 come una dei Giusti tra le Nazioni. Dai 14 anni.

Non bisogna farsi ingannare dall’aspetto perbenino dei due bambini protagonisti di questa storia. Cappellino in mano, l’aspetto compito e il fare educato, il piccolo Jean François si presenta a casa dell’amichetto per un pomeriggio di giochi. Come da sempre
fanno i bambini. Niente giocattoli in vista. I due hanno una migliore idea: inventare una storia, fare finta di essere due guerrieri solitari e impavidi su un’isola deserta, attaccati da nemici ovviamente cattivi. Sono soli in casa perché la mamma nel frattempo è uscita, non senza aver raccomandato di fare i bravi…




Povera illusa. Si sa che quando infuria la battaglia tutto può succedere e difatti succede che i due pestiferi in quattro e quattr’otto scatenano il finimondo e mettono a ferro e fuoco la casa. Scorrazzando su e giù per le scale, dandosi battaglia a suon di cuscinate, scalando montagne di tavoli e sedie, espugnando gli armadi, brandendo mestoli, tovaglie e padelle i bambini ne combinano di ogni tra la cameretta, il soggiorno e la cucina dove vengono travolti anche il cagnone di casa e il pesce rosso. Corrono paralleli due racconti in questo Facciamo che – meraviglioso grido di battaglia dei giochi infantili di ogni tempo – pubblicato da Orecchio Acerbo (13,90 euro): quello verbale sintetico e incisivo di André Marois che segue la storia fantastica inventata per gioco dai bambini e quello sceneggiato dalle tavole di Gérard DuBois paradossalmente e ironicamente realistiche, omaggio all’immaginazione travolgente dell’infanzia che semplicemente permette la trasfigurazione magica dei luoghi e degli oggetti. Uno spasso da leggere ad alta voce ai più piccoli. Dai 5 anni.

Incorreggibile, eccessiva, insopportabile, direbbe più d’uno. E non a torto: la piccola Sophie è quel che in linguaggio moderno si direbbe una mina vagante, se non fosse lei una bimbetta pestifera, bugiarda, irascibile, testarda e disubbidiente (e forse tanto altro) di metà Ottocento. Una monella con i fiocchi, dall’aspetto angelico ma dalla curiosità e dalla fantasia diabolica, nata dalla penna felice della contessa russa Sophie de Ségur. Una birichina al femminile antesignana di quei pestiferi bambini della letteratura che sarebbero apparsi più tardi, da Pinocchio a Gianburrasca. Pubblicato nel 1858 Quella peste di Sophie – un classico della letteratura francese – raccoglie le avventurose malefatte della piccina che, va detto, è dotata di una curiosità e di una intraprendenza rare.


Ma portate all’eccesso, queste doti finiscono per tradirla, perché a furia di disubbidire alle raccomandazioni della mamma, Sophie non può che combinare un disastro dopo l’altro. E’ vero che ogni volta si pente: si dispera per aver sciolto al sole la sua bambola di cera o dopo aver fatto a pezzi i pesci rossi con il coltellino di osso appena ricevuto in regalo, si vergogna di
essersi tagliata le sopracciglia, nella speranza di vederle crescere più folte… ma poi, incassato il castigo non resiste a ricacciarsi in un nuovo guaio. Questa edizione del volume pubblicato da Donzelli (28 euro) e
tradotto da Maria Vidale gode delle illustrazioni dell’artista francese Sophie De La Villefromoit che riescono a ricreare le atmosfere soft delle belle ville di campagna dell’aristocrazia dell’epoca, con tappeti, specchi, tappezzerie e vasellame prezioso mentre della pestifera Sophie offrono un ritratto mix di tenerezza e perfidia leggibili negli occhi. Dai 12 anni.

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