giovedì 19 aprile 2018
A trent'anni dall'assassinio di Roberto Ruffilli, è illuminante il commento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella su quanto resti «sconcertante il contrasto tra l'efferatezza belluina dei terroristi e la figura serena, aperta agli altri, disponibile» del professore forlivese. Le Brigate rosse lo colpirono in quanto, come scrissero, egli voleva, da studioso e da persona impegnata nelle istituzioni, rendere più forte lo Stato.
Ma lo Stato di Ruffilli non era lo Stato oppressivo immaginato dalla retorica dei suoi assassini: era (ed è) lo Stato del valore umano, delle autonomie, della cittadinanza e della partecipazione, è insieme Stato-persona e Stato-comunità, dove campeggia un pluralismo che raccoglie sia le manifestazioni della società civile, sia le articolazioni della società politica. È, in una formula ben nota, la Repubblica delle autonomie, nella cui matrice (prevalentemente, non esclusivamente) riconducibile al pensiero cattolico-democratico egli rinveniva non soltanto il carattere di mezzo per allargare le libertà rispetto a un potere statale accentrato e repressivo, ma anche il carattere di fine, «il fulcro cioè – sono parole sue – di un progetto di riassetto complessivo della vita del Paese». Uno studioso, il professor Ruffilli, quanto mai restio a prospettive unilaterali e a forzature semplificatrici della complessità del reale, e dunque diffidente verso scorciatoie istituzionali e per contro propugnatore di una cultura della coalizione - lo ha ricordato in questi giorni, con grande onestà intellettuale, Gianfranco Pasquino.
Quando si trovò a ricoprire cariche parlamentari, Ruffilli non esitò – lo segnalo a titolo d'esempio – a sottoscrivere e a promuovere iniziative di grande spessore riformatore, come il disegno di legge costituzionale, presentato due mesi prima della morte (Atto Senato, X legislatura, n. 832), volto a modificare la composizione del Consiglio superiore della magistratura, al fine di sottrarne l'assetto alle mutevoli scelte del legislatore ordinario e di attenuare l'insorgere di spinte corporative all'interno dell'organo costituzionalmente previsto per garantire l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati ordinari: mantenendo l'equilibrio numerico tra componenti “laici” e componenti magistrati, ma prevedendo per questi ultimi, accanto all'elezione, anche un piccolo contingente di nomina del Capo dello Stato. Una proposta di modifica puntuale della Costituzione che, ove largamente condivisa, avrebbe potuto (e forse potrebbe) favorire un clima più sereno attorno all'organo di governo autonomo e una sua ancora maggiore autorevolezza. Nel ricordare Roberto Ruffilli, non si deve dimenticare quanto di positivo scaturisce ogniqualvolta un intellettuale si mette al servizio di tutto il Paese.
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