venerdì 8 luglio 2011
Leo Messi ha un problema: non è argentino. Sì, è nato a Rosario, ma è rinato in Spagna ed è cresciuto catalano, forse ha perduto - o non ha mai avuto - le caratteristiche del pedatore argentino che Maradona voleva leader in Sudafrica e che Batista promuove bomber virtuale in Coppa America. Il Barça è grande, Guardiola è il suo profeta, Messi il suo campione esemplare, il titic-titoc esalta i catalani - e anche alcuni presunti buongustai nostrani - ma non è un calcio universale. Messi non è argentino, è azulgrana e basta, Eto'o e Ibra se ne son venuti felicemente in Italia perché avevano una loro classe, un loro stile. E lasciate in pace Maradona, se potete: Diego è il campione assoluto, l'argentino totale che si è fatto napoletano come il grande attore che può interpretare ogni ruolo. È inimitabile. E lasciate in pace anche Messi: forse se non avesse addosso gli occhi del mondo saprebbe onorare anche la maglia del Paese che gli ha dato i natali. E basta. Un paio di notti in tivù (è il mestiere: tu sarai giornalista in eterno) e una conclusione: massì, facciamoci del male, spalanchiamo le porte ai pedatori extracomunitari, riduciamoci a commedia sudamericana, trasformiamo cent'anni di pallonate italiche in una “copeta”: la Coppa America detta legge, no? Per me - almeno per ora - è puro analfabetismo calcistico, un triccheballacche senza senso. E per fortuna, come una Befana fuori stagione, vien di notte, con le scarpe tutte rotte, riempiendo calze di carbone, agevolando il riposo degli insonni, allietando solo gli appassionati dotati - come me - di spirito patriottico, sognatori di un Campionato Italiano con una limitata selezione di calciatori stranieri. Guardiam percossi e attoniti quel che passano Argentina e Brasile, fingiamo entusiasmo per le opere minori di cileni non tutti Sanchez, colombiani non tutti Armero, peruani e boliviani alla rinfusa, e prendiamo nota che forse la scuola migliore è ancora quella uruguagia: l'Albiceleste di Oscar Tabarez esibisce il Cavani che non avevan capito neanche a Palermo, il Suarez che nessuno ha cercato di importare, e si parla di due campioni assoluti che non hanno bisogno di una “copeta” per saltare agli occhi, hanno già dato e forse non ne vogliono più; io tifo per loro nel ricordo di Ghiggia, di Schiaffino e del mio caro amico Ettore Puricelli che quando gli dissi «mica male Victorino» mi rispose «sei di bocca buona, c'è di meglio, c'è di meglio...». C'è di meglio, soprattutto se si parla di argentini: viva Lamela, uno che a Roma dicon meglio di Baggio, ma poteva far qualcosa per salvare il glorioso River Plate, Baggio in B mai, a Bologna è diventato capocannoniere e a Brescia ha prodotto capolavori e 45 gol... Lasciamo perdere, siamo ancora i più forti, con inglesi e spagnoli, e potremmo fare a meno di tutti questi legionari da decine di euromilioni. Come diceva Artemio Franchi “il calcio più importante è europeo”. Gli altri si divertono a giocare. O hanno bisogno di lavorare.
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