mercoledì 6 luglio 2022
L'ingresso alla Fiera di Verona, per Giovanni Mantovani, non fu certo una passeggiata: era il 1985 e l'anno dopo scoppiò il caso del vino al metanolo. Per un quarto di secolo ha ricoperto cariche apicali, fino a quella di direttore generale di una Fiera che ha fra i suoi marchi più prestigiosi il Vinitaly. Che, grazie a Mantovani, ha condotto il vino italiano sugli scenari internazionali, con fiere all'estero e con la creazione del Palazzo del Vino dentro Expo, nel 2015 a Milano. L'ultimo giorno del suo mandato è coinciso con una festa, in una bella cantina della Valpantena (Costa Arente), dove l'ormai ex Direttore generale ha confidato che più dell'università lui si è formato nel movimento giovanile della Acli. Dalla laurea in Giurisprudenza all'economia, vissuta sul campo, sempre con un tratto distintivo: la capacità di relazioni e lo spirito di servizio. Per questo, ora, si occuperà, come presidente, della Fondazione della Comunità Veronese, onlus di pubblica utilità che dal 2010 persegue fini di solidarietà e di inclusione nella diocesi di Verona, per diffondere quella che lui chiama «la cultura del dono». Scelta che suona come un grazie, che deriva dal seme dei suoi anni giovanili, ma anche dall'amicizia con don Adriano Vincenzi, personaggio di straordinarie visioni, soprattutto nell'ambito sociale. Ora, questa storia di restituzione mi ha colpito, perché quando i generali si ritirano hanno due scelte: tirare i remi in barca e godersi la pensione (ma la vera goduria dove sta?) oppure mettere la propria intelligenza a servizio della comunità, perché quello ha segnato la sua vita. Quando nel 2010, a Vinitaly, venne il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Mantovani commentò che quello era un passaggio storico: la politica e le istituzioni riconoscevano il vino come un fattore identitario e trainante del made in Italy. Quel giorno, a pranzo, un cuoco di Borgomanero, Piero Bertinotti, che oggi compie 84 anni, sconvolse i piani del protocollo, perché Napolitano chiese il bis dei suoi agnolotti (che oggi nel menu si chiamano “gli agnolotti del Presidente”). L'anno dopo la guida Michelin, come riconoscimento di troppa italianità, gli tolse la stella, ma lui sapeva che la sua stella erano la moglie Luisa, la figlia Paola, il nipote Francesco che oggi è in cucina con lui. Che non ha tirato i remi in barca, ma continua a far fruttificare il seme. Come Giovanni Mantovani, come chiunque può fare, sapendo che la società e la politica hanno bisogno di avere di fronte questo sentimento di servizio e di restituzione, per capire fino in fondo qual è il compito.
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