giovedì 20 maggio 2021
Ci sono dei terreni molto scivolosi dove il perbenismo si sposa con una pretesa idea di progressismo. Resistere all'idea di sviluppo come propagandata negli anni 70 del Novecento, al dover essere "materialisti", difendere l'individuo dal comunalismo e comunitarismo. Oggi è il terreno dei dibattiti sulle identità sessuali. Su queste pagine si è affrontato il tema in maniera equilibrata e competente, cito per tutte e tutti Marina Terragni. Ma chi sono io, maschio, bianco e occidentale per permettermi di mettervi perfino piede! L'identità sessuale è considerata una scelta individuale e avulsa da qualunque connotazione culturale. Non esistono identità di genere trasmesse tra generazioni, non esistono le donne perché chiunque può sentirsi donna se vuole (e viceversa). Il modo con cui tutto ciò è argomentato è l'ennesima "crociata per il bene". Si tratta di difendere i diritti delle minoranze, i diritti alla libera scelta della propria identità. Ogni opposizione è considerata una "fobia", al pari di un pregiudizio anti-semita, di un non riconoscimento delle black identities.
C'è anche una crociata contro chi definisce tutto ciò cancel culture (cultura della cancellazione) .Giorgia Serughetti su "Domani" di qualche giorno fa sosteneva che la cancel culture, la scopa che spazza via tutto ciò che non è politicamente corretto, non esiste, è un'invenzione della destra. Una mossa retorica interessante. Si può essere anche d'accordo, ma poi ci si accorge che anche cancellare la cancel culture è una forma di cancel culture. Ricordarsi di Orwell: attaccare il socialismo in tempi di guerra fredda – con un romanzo come "La fattoria degli animali" – era proprio dare il fianco alla destra! Agli intellettuali, ai giornalisti forse è richiesto mai come adesso di essere scomodi, di non cavalcare le crociate di chi pensa che basti difendere le minoranze per attaccare coloro che non lo sono. I trans che attaccano le femministe e che attaccano gli "esseri mestruati" che pretendono di essere donne. Rebecca Solnit nella sua autobiografia dice che tutti i maschi eterosessuali sono incapaci di capire, che capaci di farol sono solo i maschi omosessuali.
In tutto questo, c'è il sapore di crociate in cui è fondamentale disprezzare chi non è come te. Alla base c'è una concezione militante della ragione e della verità, che prima veniva attribuita a chi voleva fare proseliti. C'è soprattutto uno svilimento del dubbio, del gioco democratico, la violenza delle sette contro quella che viene definita altrui fobia. Oggi forse si può parlare di eterofobia al pari di omo o di trans fobia. Sembra che le minoranze non solo vogliano giustamente essere rispettate, ma vogliano anche essere considerate avanguardie eroiche di un nuovo mondo. Mai il sospetto che la concezione delle minorities è miserabilmente legata a una idea nord-americana e sindacalizzata delle identità. Meglio pensare che ci siano una pletora di identità sessuali che vanno riconosciute o pensare che all'interno dell'essere uomo o donna ci sia spazio per tutte le sfumature possibili? Il politicizzare all'americana l'identità sa di supermarket delle identità. Perfino la black culture ha compreso che le minorities sono nuovi ghetti. Pensare diversamente oggi è scomodo e dà il fianco alla destra peggiore, sì ma solo perché non si può lasciare il vuoto del pensiero a chi ne approfitta. Qui si gioca oggi il coraggio intellettuale, quello che evita i likes di Facebook e i facili sorrisi di chi è già d'accordo con te.
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