martedì 24 marzo 2020
Parola ambigua "rivoluzione" (res novae), che da un lato indica il mutamento repentino e radicale, dall'altro evoca il ritorno ciclico (dal latino revolvere, "ritornare") delle cose al loro stato d'origine, com'è per la rivoluzione terrestre. E parola adatta a configurare fenomeni che accompagnano l'intera storia dell'Occidente, fra rivoluzioni che si traducono in drastiche restaurazioni, e restaurazioni che occultano il proprio carattere rivoluzionario. Paradossale il caso di Roma che da emblema della conservazione diviene luogo privilegiato di "rivoluzioni" continue: dalla cacciata dei re alle secessioni aventiniane, dalla lunga crisi della Respublica fino al cesaricidio; fino a quella esemplare "rivoluzione" mascherata da "restaurazione" che fu, con Augusto, l'istituzione dell'impero. E Roma sarà destinata a fornire il modello a molte rivoluzioni a venire, che si proporranno come restaurazione, ripristino, ritorno al passato: dalla rivoluzione culturale dell'Umanesimo e del Rinascimento a quella politica del Fascismo. Gioverà riflettere su tali paradossi, specie in tempi come il nostro, quando i conservatori vestono spesso e volentieri la maschera dei novatores, e quando forse autentica rivoluzione è soltanto saper "conservare" (servare), cioè custodire e rispettare i valori della nostra Repubblica.
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