martedì 25 febbraio 2014
L'ho chiamato «realismo terminale»: è una poetica ma ha a che fare con il nostro campare in questo tempo. Col III millennio la popolazione del mondo che vive nelle città ha superato quella che sta fuori. Ogni anno, 115 milioni di persone si aggiungono a quelle che stanno "intra moenia" e così sempre più, fin chissà quando mai. I popoli si accatastano nelle città, mescolandosi ai prodotti con una densità progressiva (realismo) e con un viaggio che sembra definitivo verso questo destino (terminale). Qui i prodotti sono diventati i soggetti, nell'analisi logica, e noi i complementi oggetti. Con questo prestigio, i prodotti sono ora termini di paragone e così ho battezzato «similitudine rovesciata« quella che va incrementandosi nel nostro linguaggio: «il gabbiano è simile ad un aeroplano», «la menta sa di chewingum», «mi hai dimenticato come un ombrello». È il prodotto assurto a pietra di paragone. Ora, evoco Teilhard de Chardin. Egli attraverso la legge della complessificazione e della interiorizzazione, vede l'universo evolvere dalle macroproteine a noi, fino all'omega che è il Padreterno stesso. Poeticamente mi domando: «potrebbe l'attuale fase accatastatrice, propria del realismo terminale, essere uno stadio significativo verso l'omega?»
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