mercoledì 20 luglio 2011
D'estate in Rai "dormono" dibattiti e approfondimenti a vantaggio di una concorrenza sempre più "sveglia". A sorpresa perciò domenica mattina (Raiuno: «Chat in piazza») si discute sulla possibile coesistenza di fede, scienza e modernità. In studio, con due moderatori che paiono del tutto digiuni in materia, Tullio Gregory, filosofo, Aurelio Sorrentino, «neuro scienziato», e Marco Politi, giornalista del "Fatto". A distanza, da L'Aquila, c'è anche il vescovo Giovanni D'Ercole, che può intervenire solo se interrogato, cosa che accade solo quando si tratta delle speranze del popolo aquilano dopo il terremoto e delle risorse del volontariato. Sul tema, in concreto, da lui nulla. Ne risulta un'intera trasmissione tiro a segno contro «la Chiesa» che «pretende» di avere la verità religiosa ed etica, il che sarebbe pura «intolleranza oscurantista», inconciliabile con scienza e modernità. Per Gregory qualsiasi fede è fondamentalismo, e la convinzione di dire la verità porta di necessità a «incursioni teologiche in campo scientifico», pura volontà di dominare e imporre le proprie visioni al mondo intero a scopo di «potere». Stesso discorso, più mirato contro «Chiesa e Vaticano» in Italia, da Politi, mentre il neuro scienziato vuole «la scienza umile, non umiliata», evidentemente da «Chiesa e Vaticano» anche se ricorda – bontà sua – il legame tra «fede e solidarietà». E il vescovo? Riesce a dire qualcosa almeno sulla fede indomabile degli aquilani e dei volontari. E arriva secca la replica immediata di Gregory: «Questa fede nulla ha a che vedere con la fede del Catechismo». Ipse dixit! Stop. Dibattito a più voci? O tiro a segno preordinato come tale? Se è così, meglio il "sonno" estivo.
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