venerdì 19 settembre 2014
Ancora Napoli. Ho avuto più di un resoconto da amici che, come suol dirsi, «operano nel sociale» sul caso del ragazzo ucciso da un poliziotto al rione Traiano, due settimane fa. Sulle reazioni della popolazione. Sull'ipocrisia ormai abituale delle classi dirigenti, e purtroppo anche di un «ceto intellettuale» preoccupato solo delle sue chiacchiere e del suo posto al sole. Quanti sono ormai i casi del genere, non solo a Napoli? Ci si chiede che tipo di formazione viene data ai giovani carabinieri, ai giovani poliziotti – ma questo non sembra inquietare i nostri governanti. E se è purtroppo più frequente che carabinieri e poliziotti periscano nell'esercizio del loro dovere, è diventato anche frequente che giovani e giovanissimi – piccoli delinquenti a volte, ma molto spesso ragazzi con la sola colpa di non essere benestanti e di esprimere i disagi della loro età, in un tempo davvero ingrato per chi non ha – periscano per mano dei «rappresentanti della giustizia». Qualche giornalista ha pianto – giustamente – su entrambi, affermando retoricamente trattarsi di coetanei, di una tragica situazione in cui dei ragazzi ne uccidono altri dentro la spirale di una società che ha molti motivi per venire giudicata assurda. Ma il ragazzo che ha ammazzato era oltre i trent'anni, ed è doveroso chiedersi come è stato addestrato, che cosa gli hanno insegnato nei corsi che ha pur dovuto seguire prima di essere spedito sul campo, un campo considerato automaticamente «di battaglia». Certo, non è un mestiere facile quello che colui che ha ucciso si è scelto. Ma davvero lo ha scelto, o non ha dovuto sceglierlo perché non aveva altre prospettive? Mi è capitato di conoscere in Terra di Lavoro ragazzi che hanno esitato a lungo tra le sole strade che gli si offrivano: entrare nell'arma o nell'esercito, entrare nella camorra, emigrare. Questa tragedia riguarda molte parti d'Italia, ma la scelta dello Stato dovrebbe implicare, da parte dello Stato, la responsabilità di una formazione anche civile e sociale adeguata. (Un amico mi chiede titoli di libri sui giovani poliziotti e i loro dilemmi, ma non ne conosco. Uno che ha scritto cose sensate su questi temi è un "giallista", Ed McBain, che ha raccontato la vita quotidiana di una immaginaria, ma concretissima, «big bad city».)
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