domenica 5 febbraio 2006
A  proposito dell"indagine conoscitiva della Camera dei Deputati sull"applicazione della legge 194, Miriam Mafai ha scritto: «Stiamo assistendo a una svolta autoritaria delle più alte gerarchie ecclesiastiche e a un loro più puntuale intervento su tutti i temi di rilevanza etica che già si propongono e sempre più si proporranno al nostro legislatore» (La Repubblica, martedì 31). Questo meritorio «intervento» della Chiesa nell"esplicazione del suo dovere di "mater et magistra", è giudicato dalla Mafai un caso di «fondamentalismo religioso», di cui «sono le donne, dovunque nel mondo, le principali vittime». Proprio giovedì 2 (vedi La Repubblica) Miriam ha compiuto 80 anni: auguri. Ci si poteva aspettare da lei un di più di saggezza, invece non ha considerato quell"«hidden gendercide», il genocidio nascosto del genere (gender) femminile, di cui i giornali (Corriere della sera, Messaggero, Foglio) hanno parlato ampiamente: in base alle statistiche demografiche (rapporto tra nati maschi e femmine) nel mondo mancano all"appello 200 milioni di donne. Una gran parte uccise dalla discriminazione e dalla violenza e almeno 60 milioni dall"aborto selettivo delle bambine che, soprattutto in Cina e India, è largamente praticato per la preferenza accordata ai maschi (assicurano il mantenimento dei genitori) a danno delle femmine per il costo della dote. Dunque l"aborto che, come la Mafai dice con la solita generalizzazione, sono «le donne» a reclamare, si rivolta proprio contro di esse, vittime di una sorta di orrenda auto-nemesi sociale. Alla Chiesa, l"unica che le salva, la Mafai dovrebbe, piuttosto, essere grata.
RIGOROSOLa Costituzione dice (art.30) che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», ma una decisione della Cassazione (5 novembre 1998, n. 11.094) aveva già definito «irrilevante la questione di legittimità costituzionale» dell"articolo 5 della legge 194, «che individua nella donna l"unica titolare del diritto di interrompere la gravidanza senza attribuire alcun peso alla contraria volontà del marito». Adesso anche il Tribunale di Monza ha confermato il principio con una sentenza che l"avvocato Cesare Rimini definisce «rigorosa» (Corriere della sera, martedì 31). Sarà pure «rigorosa», ma niente potrà convincere le persone di buon senso che questa nuova sentenza, che annulla la paternità e ne ridicolizza i diritti, risponda alla logica della natura e della Costituzione. In breve: un marito e padre aveva chiesto la separazione e i danni da addebitare alla moglie, perché costei, scrive Rimini, «avrebbe violato i doveri che derivano dal matrimonio», avendo abortito senza neppure «fare partecipe il marito della procedura per l"autorizzazione» all"aborto. Si noti che il giorno stesso dell"approvazione della 194, l"allora Ministro della giustizia Bonifacio aveva fatto in Senato una dichiarazione di «presa d"atto» che gli stessi promotori della legge avevano «seccamente smentito la tesi, aberrante sul piano costituzionale, civile e morale, secondo la quale l"aborto costituirebbe contenuto e oggetto di un diritto di libertà». Dunque Cassazione, Tribunale e Corriere sono andati oltre la volontà del Parlamento, definendo l"aborto un «diritto» della madre. Persino Enrico Boselli, leader della Rosa nel pugno radicalsocialista, ha dichiarato (La Stampa, mercoledì 1) che «nessuno pensa che l"aborto sia un diritto civile». E lo stesso Rimini riconosce «che la procreazione costituisce una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità primarie del matrimonio». L"aborto, però, è qualcosa che può negare tutto ciò. E persino i tribunali gli si inchinano. Rigoroso.
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