sabato 9 novembre 2019
Sono venuti questa mattina a prenderla. Era tutta ricoperta con il cartone e la plastica perché il tempo non la rovinasse, ma si vedeva ancora il legno antico e ho voluto toccarla forse per l'ultima volta: era la scrivania di mio padre Alcide che partiva questa mattina per la mostra di Trento. Fu come dire addio alla parte più giovane della mia vita. Nel piccolo salotto dove la mia famiglia ha abitato per tanti anni la scrivania di nostro padre aveva il posto migliore, godeva della luce d'angolo della finestra e di una lampada di ottone con un cappello di vetro verde chiaro. Una piccola colonnina d'argento con una Madonna arricchita da una grande corona di stelle e con il Bambino in braccio, una fotografia della nonna De Gasperi che non ho mai conosciuto e la foto del fratello Mario, sacerdote mancato molto giovane, arricchivano la semplicità di questo tavolo. Nel pomeriggio, quando le ore di lavoro nello Stato del Vaticano erano terminate, questo era l'angolo di una nuova fatica: mio padre traduceva a voce alta articoli e libri dal tedesco all'italiano a mia madre che batteva a macchina in fretta ogni sua parola. Mi pare ancora di sentire il ticchettio di quel vecchio apparecchio inglese di notevoli dimensioni come si usava allora che disegnava nell'aria la volontà, la fatica e la necessità di questo lavoro. E noi, le prime due bambine, avevamo ricevuto un paio di pantofole di velluto con il ricamo di fiori tirolesi per non fare rumore mentre si camminava o si correva nel corridoio dove era la porta dello studio. Genitori che secondo noi facevano cose misteriose che nelle altre famiglie non avvenivano, come quel ricevere pochi amici solo nel dopocena e quando ci avevano mandate a letto. Allora coperte dalle nostre piccole vestaglie andavamo a sentire e a vedere attraverso il buio dello studio gli uomini che venivano a parlare con nostro padre. A ognuno avevamo dato il nome degli eroi del “Giornalino” e così avevamo costruito senza saperlo, attraverso i lunghi anni del fascismo, i futuri governi. La scrivania che questa mattina ho visto portare nel furgone che l'avrebbe condotta a Trento, era rimasta con me tanti anni quando avevo incominciato a scrivere con timore e con coscienza la vita di un uomo che aveva amato la politica come la cosa migliore per educare un popolo ai temi della libertà, della giustizia e dell'impegno per il bene comune. Giorni e notti, mentre crescevano i miei bambini, raccoglievo testimonianze e tentavo di scrivere in modo che restasse di lui il suo amore per il bene degli altri, la sua pena per il dolore delle lotte civili, la sua forza per andare avanti in programmi positivi anche quando la strada era difficile e faticosa. Questa scrivania l'ha sentito pregare e chiedere aiuto al Cielo quando si sentiva affaticato nella difesa di una politica onesta, quando chiedeva al Signore al quale aveva dedicato le ingiustizie subite, la capacità di perdonare, di amare la vita, la natura e gli uomini di buona volontà.
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