Quella mano sulla spalla gesto che vale mille parole
mercoledì 29 gennaio 2025
Le mani sulle spalle. Le mani sono quelle del vincitore, Jannik Sinner, le spalle quelle dello sconfitto, Alexander Zverev, numero due della classifica mondiale, ma che non è ancora riuscito a vincere il suo primo torneo del Grande Slam. Il tedesco è in evidente difficoltà, in bilico fra la frustrazione per la terza finale persa e il riconoscimento della grandezza inarrivabile di Sinner. Chissà cosa passa in quel momento nella testa del tedesco, che nel 2022 ha rivelato di essere malato di diabete mellito di tipo 1 dall’età di quattro anni e ha una fondazione che si occupa di aiutare i bambini colpiti da questa patologia. È strano vedere un atleta di quel livello così sofferente, fino a scoppiare in lacrime. Zverev ha ventisette anni, Sinner ventitré e a quell’età la differenza è tanta, per degli atleti ancora di più. Jannik si avvicina, gli mette dolcemente le mani sulle spalle, sussurra qualcosa, lo abbraccia.
Passano pochi istanti, Sinner si sposta per fare il suo discorso di ringraziamento. Non ha sorriso molto in questo torneo attraversato da tante difficoltà. Fra qualche istante avrà la coppa d’argento fra le mani, finalmente potrà rilassare anche i muscoli del volto e sorridere, come si fa dopo una grande impresa. Jannik si volta appena, guarda nella direzione del suo staff e vede un’altra mano, e un’altra spalla. La mano è del suo coach Darren Cahill, sessant’anni a ottobre, la spalla è quella dell’altro suo coach, il quarantunenne Simone Vagnozzi da Ascoli Piceno, la città di Carlo Vittori, altro gigantesco mentore di un altro gigantesco atleta, Pietro Mennea. Cahill ha dichiarato, pochi giorni fa, che il 2025 sarà il suo ultimo anno, a fine stagione lascerà il circuito tennistico. Jannik si volta e gli dice: “Proverò a convincerti a restare con noi”. Cahill si commuove, quella mano appoggiata sulla spalla di Vagnozzi sembra uno struggente passaggio di testimone. A monte di questi due istanti, concentrati in pochi minuti, c’è una finale, un torneo di due settimane, montagne di allenamenti, carriere che hanno portato questi quattro protagonisti in giro per il mondo, oceani di acqua salata, di sudore e lacrime, anni consegnati in modo totalizzante allo sport, godendo di tanti privilegi, ma pagando il prezzo che chi ha fatto sport ad alto livello conosce bene. Ho letto un commento su un social media, di un autore ignoto che ringrazio per l’intuizione. Descriveva quella mano e quella spalla come un tributo di Beppe Fenoglio al tennis, chiudendo così il suo post: “Beati quelli che non hanno ancora letto Il gorgo”. Il gorgo è un capolavoro, si legge in pochi minuti, fatelo. È il racconto di una famiglia contadina delle Langhe colpita da tante sciagure, di un padre straziato dal dolore e di un figlio di nove che lo segue fino al fiume, perché è l’unico che ha colto quella disperazione e la sua volontà di farla finita. Il coraggio di quel bimbo, che il padre minaccerà con il forcone per allontanarlo e portare a termine il suo tragico progetto, lo farà desistere. Camminando insieme verso casa, ecco, fra padre e figlio quello stesso gesto, mano, spalla: “Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo”. Sì, beati quelli che non hanno ancora letto Il gorgo. © riproduzione riservata
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